Lo avevano capito i saggi antichi con le loro raccomandazioni sui comportamenti di vita e di alimentazione.
Nel libro della Sapienza della Bibbia si legge che “Il fascino delle cose frivole oscura tutto ciò che è bello e il turbine della passione perverte un animo senza malizia”. Più recentemente Pier Paolo Pasolini, rifacendosi al mondo contadino della sua infanzia a Casarsa, diceva che quegli uomini “non vivevano l’età dell’oro, ma del pane” e concludeva “i beni superflui rendono superflua la vita”. Interessante è la riflessione di Buddha secondo cui “qualunque cosa un monaco pensi e consideri frequentemente, quella diventerà l’inclinazione della sua mente”.
Nella nostra civiltà greco-romana dobbiamo molto ai pensieri del padre della medicina, Ippocrate di Cos (460-377 a.C.), non solo per quelli maturati nelle sue esperienze curative, ma anche per le esortazioni frutto di una certa “conoscenza scientifica primitiva”, fra le quali estrapoliamo: “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina il tuo cibo”, e guardando ai progressi empirici ma controllati concludeva: “Esistono solo due cose, scienza e opinione; la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza”. Chissà perché, dopo questa riflessione, ci viene subito alla mente il “No-Vax”, l’antivaccinismo acefalo del nostro tempo.
Se pensiamo che a quei tempi antichi non si conoscevano ancora l’anatomia dei Cesalpino, la fisiologia degli Harvey e le patologie dei Mogagni, si comprende quanto sia attuale anche la seguente riflessione ippocratica: “Gli uomini di esperienza sanno bene cos’è una determinata cosa, ma non il suo perché; gli uomini d’arte ne conoscono il perché e la causa”. Gli uomini d’arte erano evidentemente coloro che da sempre si erano domandati perché mangiamo troppo o in modo sbagliato, beviamo l’alcol in dosi che condizionano le cellule cerebrali, così come perché esageriamo in caffeina, ci facciamo condizionare dalla nicotina, dalla cannabis e dai derivati della morfina e della coca. Quegli stessi “uomini d’arte” avevano intuito che il primo doping fu una mela, la presunzione di poter scegliere secondo come vorremmo essere, non per come siamo. Una condanna biblica per i credenti, una presunzione autolesionistica e assurda per i naturalisti. Presente comunque da quando l’essere umano ha potuto decidere.
Un grande medico messicano del secolo scorso, Sodi-Pallares, dal cognome mezzo italiano e mezzo ispanico, e che si portava nelle sembianze anche alcuni tratti della razza olmeca, faceva pensare in chi lo ebbe come maestro a una combinazione genetica eccezionale. La sola capace di giustificare, dopo un lungo curriculum di egregio studioso dell’elettricità del cuore, un’improvvisa vocazione, quasi una folgorazione, per il metabolismo cellulare e la correzione della nostra dieta. Chiamato al capezzale della madre idropica e con il fiato corto, capì che la terapia classica per l’insufficienza cardiaca di allora non poteva avere ragione in quel caso, come tanti altri, delle lunghe e sbagliate abitudini dietetiche; impose il digiuno e la somministrazione solo di liquidi senza sale. Pochi giorni dopo giorni iniziò la scomparsa degli edemi e il progressivo ripristino del respiro. Il seguito fu una convinta diffusione della dieta povera in sodio, il sale da cucina, e ricca in potassio che la natura ci fornisce in abbondanza nei vegetali, compresa la biblica mela.
Una diffusione non come il pioniere messicano aveva sperato, nemmeno dopo che le ricerche epidemiologiche su vasta scala andavano viva via dimostrando la responsabilità del sale nell’aumento della pressione, dello scompenso cardiaco e nel logorio delle arterie. Una dieta che in tutto il mondo registrava una quantità di sodio tre e più volte quella richiesta dal nostro fisico.
Fu facile dimostrare che mangiando con poco sale gli ipertesi miglioravano e che gli aborigeni dell’Amazzonia, abituati allo sciapo, avevano pressioni basse. I medici moderni, siamo negli anni settanta, ci credettero, ma furono accolti come le esortazioni dopo le omelie in chiesa: rubare si fa peccato ma rende, anche al netto dei rischi legali. In quello stesso periodo di fine secolo ci si è messo anche il dottor Ancel Keys, che con l’ineffabile ingenuità dei nordamericani edificò una grande impresa, il “Seven Countries”, ossia l’impegno di sette paesi compreso il nostro per dimostrare che la dieta morigerata delle riviere mediterranee faceva vivere meglio e di più rispetto a quella con gli hamburger farciti, gli eggs and bacon e i dolci cremosi degli statunitensi e affini. Keys che ci credette raggiunse le cento primavere, i suoi compatrioti continuano a combattere con gli autunni e gli inverni delle malattie cardiovascolari e metaboliche.
Quei sette paesi animati da nobili propositi erano gli USA, il Canada, il Regno Unito, la Germania, la Francia, l’Italia e il Giappone. Tutti hanno preso atto, ma non hanno sensibilmente cambiato le loro abitudini se in luglio 2019 il New England Journal of Medicine, la rivista che ci sorveglia anche le Sanità, pubblica per conto dalla National Academy of Medicine degli USA un richiamo sull’abuso del sale di sodio e lo correla all’alimentazione imposta dall’industria e dalle abitudini invariate. Ricordando che secondo statistiche aggiornate: a) il consumo giornaliero di sale dell’uomo americano è di 10.4 gr. (7.3 gr. la donna); b) il suo fabbisogno fisiologico dovrebbe essere inferiore ai 3.5 gr.; c) circa l’80% del sale ingerito proviene già dai cibi dei ristoranti o prima di entrare nelle nostre cucine e mense; d) dove l’aggiunta costituisce solo il 5%; e) la riduzione del sale a 2-3 gr. abbassa da sola una pressione alta di circa 10 mmHg; f) questo stesso piccolo sacrificio diminuirebbe per in un anno negli USA 54-99.000 infarti, 32-62.000 ictus e la mortalità calerebbe dai 92.000 ai 44.000 casi. Da tutto ciò non v’è dubbio che il cloruro di sodio, oltre certi limiti, così come altri cibi sregolati, o l’assunzione di quelle che chiamiamo droghe, tutto si comporta come vero e proprio doping.
E cosa dire quindi delle cattive abitudini, de vizi, delle prevaricazioni, del credersi più bravi di quanto siamo, del non saper tacere e del parlare a sproposito, del non controllare certi istinti? Tutto è doping, un diabolico doping. Il rimedio? Difficile da attuare, come si evince dalla nostra storia di homo sapiens. Forse dovremmo cominciare a metterci in coda.
Eligio Piccolo
Cardiologo