L’infarto continua ad essere la malattia del secolo, passato e presente. Gli epidemiologi, quelli che studiano le popolazioni e che il cuore con le sue patologie lo girano e rigirano da tutte le parti, orgogliosi di averne scoperto i fattori di rischio, dal fumo al colesterolo, ce ne segnalano sempre di nuovi, oramai una sfilza. Dove non tutto è così convincente come direbbero le statistiche dello zero virgola zero. Manca solo che si sospetti della pizza e del prezzemolo. Per l’amor di Dio, direbbe Bersani nel suo simpatico accento emiliano, non che si voglia mettere in discussione l’obesità, il diabete e tante altre implicazioni dannose emerse da quegli studi, ma continuando con certe sofisticatezze si rischia il terrorismo. Anni fa si era implicato perfino il lunedì, giorno in cui avvengono più infarti, senza specificare se i barbieri che in quel giorno riposano erano ugualmente penalizzati. Anche i mesi dell’anno sono stati indagati e mi pare fossero quelli più freddi, da gennaio a marzo, ad essere responsabili di maggiori accidenti cardiaci.
Il problema della temperatura ambientale, segnalata come concausa di infarti in molti paesi con climi variabili, pareva anch’essa un’esagerazione. Fino a quando è arrivato uno studio che dovrebbe tagliare la testa al toro, dato il numero di pazienti analizzati, 280 mila, il lungo periodo di osservazione dal 1998 al 2013, 15 anni, e la pubblicazione nella rivista JAMA (ottobre 2018), che ne costituiscono la garanzia.
Questi ricercatori, capeggiati da Moman Mohammad della Lund University svedese, hanno analizzato nei pazienti ricoverati per una sindrome coronarica acuta, alias infarto, oltre ai parametri medici per confermarla, dall’ECG agli enzimi e alla coronarografia, anche la temperatura ambientale, la pressione atmosferica, la velocità del vento e le ore di sole presenti in quel giorno. Constatando che in effetti quanto più avverse sono le condizioni atmosferiche, soprattutto la bassa temperatura, tanto più frequenti sono gli arrivi in unità coronarica e in emodinamica per sturare l’arteria tappata. Specialmente, precisano gli svedesi, quando la temperatura scende sotto lo zero; mentre per ogni suo aumento di 7.4 gradi l’attacco cardiaco si riduceva del tre per cento.
L’obiezione che arriverebbe facile a tutti è quella sul paese, la Svezia, dove il freddo è inversamente proporzionale alle ore di sole, ma non regge perché la stessa comparazione tra bassa temperatura e infarto è stata documentata anche in paesi privilegiati dalle ore di luce, come il nostro meridione o la Grecia; ossia si tratta di fenomeni relativi, un problema di adattamento. In altre parole, i cuori meridionali abituati ai 20-30 gradi e più, nell’inverno si trovano con valori che per il nord sarebbero estivi; ebbene, è il cambiamento di per sé che fa reagire la pressione e le coronarie allo stesso modo di quelli invernali nel settentrione.
“E’ la fisiopatologia, bellezza, la fisiopatologia, e tu non ci puoi fare niente”, direbbe l’ineffabile Bogart.
Se poi alle condizioni atmosferiche ballerine ci associamo le infezioni respiratorie o l’influenza, queste possono aumentare addirittura di sei volte l’incidenza di infarto! La spiegazione di tutto ciò? Qualcuno l’ha voluta vedere nella mancanza di vitamine, ma il rimedio non ha cambiato nulla. Dobbiamo invece stare attenti alle impennate della pressione facilitate dal freddo, ai cambiamenti nella dieta, allo stato delle coronarie, che il freddo e il vento possono provocare, innescando in loro sia uno spasmo che la rottura di una placca arteriosclerotica. Ma anche la neve, non di per sé, dicono alcune ricerche, ma quando la si spala, uno forzo tra i più insidiosi.
Che fare? Gli svedesi, ben documentati come sempre, ci hanno convinto sull’importanza dei cambi climatici, ma quali i rimedi? Il clima è una costante immodificabile, solo peggiorabile da certe intromissioni scriteriate dell’uomo, oggi di pericolosa moda; la protezione dal freddo non ci manca, la vaccinazione dall’influenza fa quello che può. Non ci restano che le solite raccomandazioni, noiose, ma che potremmo ridurre all’essenziale in queste quattro: 1- il controllo dello stato delle coronarie, specie dopo i quaranta; 2- quello della pressione arteriosa e del peso, con frequenza bisettimanale; 3- la sciatina o altri sport solo dopo allenamento; 4- dieta commisurata al consumo calorico.
E che Dio ce la mandi buona.
Eligio Piccolo
Cardiologo