Il dibattito sul cuore dei maratoneti continua. Era il 1984 James F. Fixx muore a 52 anni di morte improvvisa durante un allenamento. Non era uno qualunque, era considerato il guru del jogging, il più grande divulgatore dei benefici della corsa, era stato l’autore di un grandissimo best seller The complete book of running cui aveva fatto seguito un secondo volume.
Fatto sta che in giovane età Jim Fixx è morto di infarto, mentre correva. La sua storia però era particolare: familiarità per cardiopatia, suo padre era morto di infarto in età giovanile, e lui fino ai 35 anni aveva condotto uno stile di vita più che discutibile. Decisamente in sovrappeso, fumatore, aveva poi iniziato a correre, innamorandosene fino a farne la principale attività della sua vita, per perdere peso. Muore di infarto e l’autopsia svela una malattia delle coronarie severa che aveva aggredito i tre rami principali.
Vi è chi sottolinea la gravità di sottoporsi ad un’attività fisica così strenua e il fatto che, ad un certo punto, Jimmy Fixx avesse, dopo i primi indubbi benefici di uno stile di vita più salutare, abbandonato gli scrupolosi controlli medici che sono necessari quando ci si sottopone ad allenamenti così intensi. Altri, sia gli autori dell’autopsia sia medici che successivamente si sono occupati della sua storia, dicono che la sua attività fisica gli aveva regalato una decina di anni di vita in più rispetto a suo padre deceduto per infarto a 43 anni e che comunque Jimmy portava le conseguenze di quanto aveva fatto prima di iniziare a correre.
Ancora oggi a 30 anni di distanza non abbiamo risposte definitive. Certo il solo e comune buon senso induce a dire che anche l’attività fisica che è così salutare, se perseguita in maniera esasperata, come tutti gli eccessi, produce effetti negativi. Ma, come si diceva, è il dibattito scientifico che continua.
Una esaustiva review pubblicata nel 2012 sul New England Journal of Medicine ha analizzato i dati relativi a 10.9 milioni di runners che avevano partecipato a 40 maratone (42.195 Km di corsa) e 19 mezze maratone, identificando 59 arresti cardiaci. L’incidenza globale dell’arresto cardiaco era pari a 1 per 184.000 partecipanti (0.54 per 100.000). L’ischemia miocardica come causa primitiva di morte è risultata pari al 16%.
Yankelson e colleghi hanno recentemente pubblicato sul Journal of American College of Cardiology un lavoro che fa luce su un’altra possibile causa di morte negli atleti che corrono le lunghe distanze, il colpo di calore.
Il colpo di calore, definito come il raggiungimento di una temperatura corporea di 40°-40.5° C (104-105° F degli anglosassoni) associata ad una disfunzione multi organo è stata una causa più importante di ospedalizzazione o di morte nel loro database. Il sintomo d’esordio è una disfunzione cerebrale. Il colpo di calore può rapidamente evolvere in un arresto cardiaco se la diagnosi non viene prontamente effettuata dai soccorritori mediante misurazione della temperatura rettale al corridore che collassa e se non viene effettuato il successivo e tempestivo trattamento.
Lo studio è stato condotto su 137.580 runners che hanno partecipato ad una serie di gare di resistenza (da 10 km fino alla maratona) a Tel Aviv nel periodo compreso tra marzo 2007 e novembre 2013. Nei sette anni analizzati si sono verificati 21 ospedalizzazioni per eventi gravi, due decessi (1 per 69.000). Soltanto due sono stati gli accessi in ospedale per cause cardiache: il primo per un episodio di tachicardia sopraventricolare risolto con la somministrazione di adenosina e successivamente con una procedura di ablazione, il secondo per un infarto non complicato. Le restanti ospedalizzazioni sono state causate tutte dalla comparsa di un colpo di calore correlato allo sforzo: 12 sono risultate minacciose per la vita, due sono esitate in decesso dei corridori. In un caso il colpo di calore era stato correttamente diagnosticato ma il paziente è deceduto per insufficienza multi organo, nel secondo caso le manovre di rianimazione cardiopolmonari sono risultate inefficaci (temperatura corporea misurata pari a 40.5°C). I casi non fatali hanno richiesto l’intubazione e la ventilazione meccanica ma vi è stato il pieno recupero degli atleti.
Questo lavoro ha il pregio di dare due precisi messaggi: il primo è che il colpo di calore è un evento piuttosto comune nei luoghi a temperatura mite/elevata ed il secondo che il colpo di calore può essere trattato con successo se viene immediatamente sospettato in un corridore che ha un episodio sincopale da personale esperto e adeguatamente preparato all’assistenza a questi eventi sportivi.
Il colpo di calore non presenta alcun profilo “predittivo”: non vi sono esami clinici che possano prevederlo ma va tenuto in grande considerazione in queste manifestazioni, mentre sottolineiamo ancora una volta l’importanza di un adeguato controllo medico per la prevenzione degli eventi cardiaci.
Fonti:
Brian Olshansky, David S. Cannom. Neither Too Fast Nor Too Hot. J Am Coll Cardiol. 2014;64 (5): 470-471
Yankelson L, Sadeh B, Gershivitz L et al. Life threatening events during endurance sports: is heat stroke more prevalent than arrhythmic death? J Am Coll Cardiol. 2014;64:463-469
Antonella Labellarte
Cardiologa
Ospedale S. Eugenio, Roma