Il colpo di reni della digitale: Il DIGIT-HF
di Francesco Prati
04 Settembre 2025

Lo studio DIGIT-HF, appena pubblicato sul New Engl J  Med e presentato al congresso ESC ripropone in modo forse inaspettato l’uso dei glucosidi nel paziente scompensato.

Gli autori hanno randomizzato 1212 pazienti con scompenso cardiaco cronico e frazione di eiezione al di sotto del 40% e/o in classe funzionale NYHA III o IV.

La digitoxina ad un follow up mediano di 36 mesi ha ridotto in modo significativo l’end point principale (morte o ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco), che si è verificato nel 39,5% nel gruppo trattato con digitoxina vs il 44,1% del gruppo placebo P (HR 0,82, intervallo di confidenza 95%, 0,69- 0,98, p =0,03.

Gli end point singoli si sono verificati più frequentemente nel gruppo trattato con placebo anche se le differenze non raggiungevano il livello di significatività. La morte si è infatti verificata nel 27.2% nel gruppo con digitoxina versus 29,5% del gruppo placebo (HR 0.86). Un primo ricovero per scompenso cardiaco si è invece verificato nel 28,1% nel gruppo con digitoxina e nel 30,4% del gruppo placebo HR 0,85.

L’evidente beneficio clinico in termini di miglioramento dell’end point principale sì è però accompagnato ad un incremento significativo degli eventi avversi che sono occorsi nel 4,7% nel gruppo digitoxina vs il 2,8% del gruppo placebo.  Nell’ambito dei disordini cardiaci esercitavano un ruolo importante gli episodi di fibrillazione ventricolare rilevati in 10 soggetti con digitossina (1,6%) contro tre (0,5%) nel gruppo placebo. L’interruzione dei farmaci principalmente per eventi avversi era del 9,1% nel gruppo digitossina ed era sovrapponibile al gruppo placebo.

I dati in qualche modo sorprendono; la corrente di pensiero ormai accettata da tutti vede nell’impiego di farmaci che mettono il cuore a riposo la soluzione per migliorare la prognosi dello scompenso cardiaco. Il lavoro ripropone farmaci riposti nel cassetto da qualche decade ed impiegati prevalentemente per il controllo del ritmo nella fibrillazione atriale.

Eppure circa 10 anni fa allo studio DIG aveva dimostrato che l’impiego di digitossina ad un dosaggio contenuto, in modo da ottenere concentrazioni del farmaco al di sotto di un nanogrammo / ml, migliorava la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco.

Notiamo peraltro come solamente un quarto dei pazienti presentasse fibrillazione atriale che rappresenta al momento l’indicazione principale per la quale si usa abitualmente la  digitale nei pazienti con scompenso cardiaco.

Non può sfuggire il fatto che nello studio sia stata impiegata la digitoxina e non la digossina, usata nel nostro paese. La possibilità di eliminare la digitoxina per via epatica rappresenta sicuramente un vantaggio che permette di mantenere livelli bassi del farmaco anche nei pazienti con insufficienza renale.

Gli autori sottolineano nella discussione come l’effetto positivo della digitoxina sia dovuto all’azione parasimpatica del farmaco che si aggiunge a quella di diminuzione del tono simpatico, già ottenibile grazie all’impiego dei beta bloccanti.

Rimane un prezzo da pagare: la presenza di manifestazioni aritmiche come la fibrillazione ventricolare, tre volte più frequente nei pazienti il trattamento con digitossina e che fa riflettere sulla necessità di un monitoraggio molto attento quando si vogliono impiegare  questi farmaci.

C’è infine da chiedersi se quanto emerso dall’impiego della digitossina possa essere traslato all’utilizzo della digitale. Questo aspetto va affrontato con molta prudenza se si considera l’eliminazione renale della digitale e la possibilità che il sovra-dosaggio del farmaco  rappresenti  un rischio per il paziente.

References

  1. Bavendiek et al for the DIGIT-HF Study Group. Digitoxin in Patients with Heart Failure  and Reduced Ejection Fraction. New Engl J Med 2025.
  2. Adams KF Jr, Patterson JH, Gattis WA, et al. Relationship of serum digoxin concentration to mortality and morbidity in women in the digitalis investigation group trial: a retrospective analysis. J Am Coll Cardiol 2005;46:497-504.