Ve l’avevo detto che il colesterolo, contrariamente a come viene inteso dal popolo acculturato che da anni ne vigila l’asterisco negli esami con la paura che minacci il cuore e il cervello, non è un veleno (!). Non va confuso, per dire, con quello della malmignatta, la vedova nera che se vi punge attenta alla vostra vita. Quel grasso del sangue invece, i lipidi per i signori medici, tanto il cosiddetto buono o HDL quanto il cattivo o LDL, sono entrambi “bonus et laudable”. Senza di lui, come si è più volte ricordato in queste pagine, non potremmo pensare, dialogare, memorizzare né generare figli: il cervello infatti ne è ricco e le ghiandole sessuali senza lui non potrebbero costruire gli ormoni della fertilità e dell’accoppiamento. Conoscenze mediche che si sapevano anche quando numerosi studi, da quelli russi sul coniglio obbligato a non mangiare l’erba a quelli epidemiologici sulla nostra società opulenta, mostravano che superare i 200 mg nel sangue favoriva l’arteriosclerosi e i malanni conseguenti.
Si era fatto però un piccolo errore scambiando l’effetto con la causa, l’alimentazione sbagliata come un diritto sul quale il nostro metabolismo e quello del coniglio non doveva ribellarsi. E così, persistendo nell’equivoco, il coniglio russo, cui era stata tolta la sua dieta naturale, era diventato il simbolo che il colesterolo fa male. A nessuno venne in mente di ridare l’erba al coniglio e una dieta sana, ancorché meno appetibile, all’uomo e alla sua compagna. Tutti invece, tranne il coniglio, hanno fatto orecchio da mercante, cercando impuniti come ridurre il colesterolo senza sacrifici alimentari. E mentre gli occidentali, dopo la 2° guerra mondiale, padroni di ogni ricerca scientifica, ma poco propensi ai digiuni e alle diete, dissertavano e facevano finta di non capire, gli orientali del sol levante, magri e curiosi delle nostre problematiche, quelli che fotografavano ogni cosa in giro per il mondo, hanno pensato “ma dove sta il problema?”. E’ semplice, basta bloccare con un enzima la formazione del colesterolo nel fegato e questo si ridurrà. Il bloccante subito da loro costruito prese il nome di mevastatina (1975), la prima di una serie di statine, tutte efficaci, che hanno dato agli occidentali la gioia di continuare gli eggs and bacon e i farciti, nonché la fortuna dell’industria farmaceutica e alimentare; mentre gli orientali, lì per lì attoniti, hanno cominciato pure loro a usarle dopo aver copiato la nostra dieta e aumentato l’indice di massa corporea.
Oggi siamo a quasi mezzo secolo di esperienza con questi farmaci, che hanno dato la tranquillità a tutti: al paziente che può mantenere quel maledetto grasso vicino ai 200, al medico che conserva la fiducia del cliente senza l’asterisco, all’industria che si è assicurata un gettito continuo. L’andazzo è tale che già stanno avanzando altri prodotti per abbattere quel nemico, che ricorda ai maschi la pancia e alle signore le celluliti. Nel frattempo però alcuni medici, di quelli che guardano anche il malato oltre all’asterisco, hanno cominciato a rilevare che qualche paziente lamentava dolorini muscolari, altri mostravano segni di insufficienza epatica o digestiva, alcuni addirittura amnesie o disfunzioni sessuali. Le riviste mediche, cautamente, hanno cominciato a segnalarli, ma è sembrato come sparare sulla Croce Rossa, o meglio sulla Coca Cola. La difesa è stata pronta e indiscutibile perché le dimostrazioni erano difficili da documentare. Solo una ha potuto controbattere le difese, la rabdomiolisi, ossia la distruzione di cellule muscolari causata dalle statine, dimostrabile con un semplice esame del sangue. Tuttavia non così frequente e ben documentabile da iniziare un cammino terapeutico più attento agli effetti secondari.
A questo punto la medicina critica fu considerata da molti ipercritica e larvatamente ingrata dei risultati terapeutici degli anti-colesterolo, una specie di timido Davide a difesa del “primum non nocere” contro un Golia ricco di risultati nella prevenzione cardiovascolare e di un business da magnati. Una lotta, si potrebbe dire, fra i pochi a difesa della medicina il più possibile collegata alla natura e alla prevenzione e la maggioranza che si accontenta di un antidoto che sia gentile con le nostre abitudini e anche con i nostri vizi. Forse l’ultima notizia, secondo cui il colesterolo, addirittura quello cattivo, l’LDL, se è troppo basso o artificialmente troppo ridotto facilita la comparsa di emorragie cerebrali, potrà rimettere a posto quell’inconscio equivoco tra causa ed effetto, necessario a rintuzzare le conseguenze nocive delle nostre inveterate abitudini, e a farci riflettere sull’indispensabilità del colesterolo naturale. Il quale, va ricordato, per l’80% lo formiamo nel fegato e per il 20% proviene dal cibo, con un ritmo evidentemente regolato dalle nostre consuetudini, giuste o sbagliate che siano. Questa ricerca, capeggiata da Chaoran Ma della Pennsylvania State University (Neurology, luglio 2019), che dà l’allarme sulla nocività dei valori bassi dell’LDL, è “giustamente” una collaborazione fra occidente (USA) e oriente (Cina), attuata per nove anni su soggetti in partenza scevri da ictus, infarto o cancro. Dalla quale risulta che un LDL inferiore ai 70 mg/dL aumenta il rischio di emorragie cerebrali. La spiegazione non è di quelle da trattare nel nostro “salotto”, perché si addentra nella complicata protezione dei globuli rossi e nell’attivazione delle piastrine, sulla quale facciamo un doveroso atto di fede. Convinti che finalmente si sia intrapresa la strada giusta.
La conclusione di tutte codeste considerazioni che vi abbiamo ricordato in pro e in contro ai naturalisti e agli interventisti non è certo la proscrizione degli anticolesterolo. Ci mancherebbe, ogni terapia ha le sue indicazioni e, ad esempio, nei casi di ipercolesterolemia famigliare non possiamo certo affidarci solamente alla dieta, così come in altri di incorreggibile alimentazione. La funzione del medico e del gastroenterologo nei singoli casi diventa quindi insostituibile, e a loro passiamo il testimone. Tuttavia l’home message, come dicono i colti, che mi sentirei in dovere di trasmettere è: 1) quello di non lasciare che il paziente si faccia l’idea del colesterolo quale nemico o veleno del proprio corpo, ma di un utile “principio vitale” da tenere sotto controllo il più possibile con mezzi naturali; 2) evitare certe diete consuete e sbagliate cui si devono effetti pericolosi nel sangue.
Eligio Piccolo
Cardiologo