Il cardiopatico e la guida
di Comitato Scientifico del C.L.I.

L’uso sistematico dell’automobile ha contribuito alla soppressione dell’attività fisica e la sedentarietà è divenuta un fattore di rischio coronarico.
Quando però la malattia coronarica si sia manifestata, l’automobile può rappresentare un mezzo prezioso per il reinserimento nella normale vita di relazione e per mantenere i rapporti sociali.
L’automobile risulta tanto più utile quanto più la malattia di cuore limita l’attività fisica: l’autorizzazione alla guida deve tuttavia tener conto delle distanze da percorrere, del traffico, degli orari e, soprattutto, della gravità della cardiopatia.
Le auto di oggi sono meglio manovrabili di quelle del passato, più comode, ma anche più potenti e veloci e incoraggiano a tenere elevate velocità e ad intraprendere lunghi tragitti, cosa che ne aumenta la pericolosità per il rallentamento dei riflessi e il possibile calo dell’attenzione del malato di cuore che guida.

Nel cardiopatico che riprende a guidare possono insorgere anche problemi umani e psicologi, veri o infondati, favoriti dall’atteggiamento assunto nei suoi confronti da chi è al corrente della malattia senza conoscerne il tipo o la gravità.
Il caso più frequente è quello dei familiari che, per il timore di un attacco o addirittura della morte durante la guida, gli vietano di rimettersi al volante, oppure ostentano sfiducia nelle sue capacità.
Le cardiopatie di gran lunga più frequenti nell’uomo di mezza età che necessita di guidare sono quelle ischemiche (angina pectoris, infarto), ma vi sono anche quelle valvolari trattate chirurgicamente, le aritmie e i portatori di pace-maker. Tutte queste condizioni presentano problemi diversi e, in genere, è necessaria una prova da sforzo per valutare le possibilità fisiche e l’idoneità alla guida.

Se il cardiologo non affronta il problema, deve essere il cardiopatico a chiedere informazioni precise sulla sua capacità di guidare l’automobile.
In un periodo difficile come l’attuale, in cui le responsabilità mediche diventano sempre più pesanti, prevale la tendenza a sopravvalutare i rischi che il cardiopatico al volante può far correre agli altri.
La guida, dopo un periodo più o meno lungo di inattività, a causa della fatica e della tensione, accelera il polso, fa salire la pressione, causa disturbi del ritmo e, in chi soffre di angina pectoris, può scatenare crisi di dolore toracico.
La maggioranza dei cardiopatici può essere autorizzata ad usare l’automobile: per sé e per la famiglia è importante che conosca la natura della propria malattia e i limiti che questa impone; in questo caso non deve avere timori e soprattutto non devono averne gli altri.

Alcune tecniche, quali la registrazione continua dell’elettrocardiogramma secondo Holter, permettono di prevedere quali disturbi cardiaci possono insorgere durante la guida e di prendere i provvedimenti necessari.
Le responsabilità dei cardiopatici negli incidenti stradali sono difficili da valutare e le statistiche riportano dati assai diversi.
L’uso di anticoagulanti rappresenta, in caso di incidente, un pericolo per il solo ammalato; altri farmaci possono causare sonnolenza e ipotensione e il cardiopatico deve esserne sempre informato affinché sappia regolarsi. In conclusione, i malati di cuore che sopportano bene la loro cardiopatia, se osservano alcune regole, possono guidare senza rilevanti rischi per sé o per gli altri: sta al medico precisargli queste regole caso per caso.