Uno studio francese, riportato da Circulation di luglio 2017, ci informa che i bambini nati nei due primi anni della Grande Guerra (1914-18), gli anni della Marna, da donne che avevano ricevuto la notizia della morte del coniuge soldato proprio durante la gravidanza, ossia orfani di guerra prima della nascita, sono vissuti poi quasi due anni e mezzo di meno rispetto ai non orfani.
Non si precisano le cause di morte, che possiamo presumere fossero cardiovascolari o tumorali, ma si precisa invece che erano maggiormente penalizzati quei neonati la cui madre era stata informata del lutto durante l’ultimo trimestre di gestazione. Con la perspicace conclusione degli esegeti psicologi, visto che altri fattori di malnutrizione o di censo potevano essere esclusi, che lo stress subito dalla madre aveva in qualche modo interferito negativamente sulla sopravvivenza del nascituro. In qualche modo però, perché ovviamente i dati scientifici precisi non erano più rintracciabili.
Diagnosi tanto più suggestiva perché quei ricercatori francesi, onde essere certi che fosse proprio la ferale notizia nei mesi precedenti il parto a causare quella decurtazione di vita, hanno verificato che questo inconveniente non succedeva invece a coloro che rimanevano orfani subito dopo il parto. Tuttavia, precisano ancora i cugini d’oltralpe, questi “pupilles de la nation”, come venivano definiti gli orfani di guerra, erano gravati da quella piccola premorienza solo se non superavano poi i 65 anni di vita, quindi non nei longevi per costituzione. Evidentemente il DNA, il ceppo buono come dicono i toscani, ha sempre la sua importanza.
Scusate l’irriverenza, ma il discutibile divario di vita fra quegli sventurati e i loro coetanei, potrebbe rientrare nelle variabili “statistiche” della sfiga, per di più circoscritto in una fascia di età dai 30 ai 65 anni e riferito ora in un periodo storico in cui molte madri di altra confessione religiosa sembrano “gioire” dei coniugi che vanno dalla morte bellica in paradiso, anche se poi le tradiranno con sette vergini; scusate ancora l’irriverenza, ma mi pare proprio che sia una ricerca epidemiologica alquanto fantasiosa, di quelle, come diceva un mio maestro, del voler tagliare il capello in quattro, e aggiungerei di un capello incanutito dal tempo.
Il cardiologo Eugenio Petz, che si è molto divertito a leggere questa trovata dei francesi, dice che a Trieste sarebbero ancora più “tranchant”, per usare un loro aggettivo, e direbbero: “i ga volu’ farghe la punta a le banane”.
Eligio Piccolo
Cardiologo