Tradizionalmente nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (CMI) l’esercizio fisico (in particolare quello intenso) è stato considerato pericoloso perché potenzialmente in grado di indurre aritmie e morte improvvisa e pertanto è stato a lungo sconsigliato. Ciò ha portato molti pazienti a rinunciare a qualsiasi forma di allenamento fisico e ad avere uno stile di vita sedentario, già in giovane età, con conseguente aumento del rischio cardiovascolare globale ed implicazioni psicologiche negative .
Negli anni però è diventato evidente che l’evoluzione della CMI è nella maggior parte dei casi benigna e che l’effetto pro-aritmico dell’esercizio fisico in questa popolazione di pazienti non è dimostrato da evidenze robuste (1-2). Al contrario, potrebbe addirittura essere protettivo (3).
In questo senso vanno anche le evidenze del lavoro della dottoressa Basu e coll. recentemente pubblicato su European Heart Journal (4). Gli autori hanno studiato 80 pazienti con CMI non ostruttiva (età media 46 anni) senza caratteristiche di alto rischio per morte improvvisa (sincope pregressa, aritmie non controllate dalla terapia, ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro, precedente miectomia). I pazienti sono stati randomizzati (1:1) ad un programma supervisionato di esercizio fisico intenso (fino all’85% della frequenza cardiaca predetta), di 12 settimane in aggiunta a terapia medica convenzionale (exercise group), o a sola terapia convenzionale (usual care group). Il programma comprendeva un allenamento di gruppo, supervisionato, di 1 ora, 2 volte a settimana e 1 allenamento in autonomia (con scheda di lavoro codificata), 1 volta a settimana. Il 50% dell’allenamento consisteva in esercizi aerobici. L’esercizio era affiancato da sessioni educazionali con topics focalizzati sui benefici dell’esercizio fisico e sulle implicazioni psicologiche della CMI.
Tutti i partecipanti sono stati valutati al basale e a 12 settimane con test cardiopolmonare, Holter ECG e questionari psicologici e sulla qualità di vita. I pazienti dell’exercise group sono stati inoltre rivalutati a distanza di 6 mesi dal termine del programma. L’end-point primario di sicurezza è stato rappresentato da un composito di morte cardiovascolare ed eventi aritmici.
Le caratteristiche cliniche, ecocardiografiche e funzionali, nonché la terapia, dei due gruppi erano paragonabili. Globalmente, l’85% dei pazienti ha completato lo studio in entrambi i gruppi. A 12 settimane, l’ exercise group ha presentato un maggiore incremento del consumo di ossigeno al picco e al raggiungimento della soglia anaerobica, oltre che valori pressori più bassi, minore BMI e un miglioramento significativo degli score ai test valutativi di ansia e depressione, rispetto al gruppo usual care. L’end-point di sicurezza primario è risultato non differente nei due gruppi di studio. I benefici indotti dall’esercizio a 6 mesi dall’interruzione del programma venivano persi, perché la maggior parte dei pazienti non continuava l’attività fisica una volta terminato lo studio.
Considerazioni.
Benchè limitati dal numero esiguo di pazienti inclusi, i dati di questo studio appaiono molto incoraggianti perché innanzitutto dimostrano che un programma di esercizio fisico intenso in pazienti con CMI non ostruttiva è fattibile, se inserito in un percorso supervisionato e motivato, con una buona aderenza dei pazienti, che potrebbe essere auspicabilmente migliorata applicando delle modalità in remoto di coaching.
Inoltre, l’esercizio fisico anche intenso è risultato sicuro perché i pazienti non hanno presentato un numero di eventi aritmici maggiore rispetto ai pazienti che non effettuavano esercizio fisico, rassicurando quindi sia medici e pazienti sulla non pericolosità dell’attività fisica. Inoltre, la migliore perfomance all’esercizio, la riduzione dell’entità dei fattori di rischio cardiovascolare con l’ allenamento e il miglioramento dello stato psicologico dei pazienti, dimostrano l’effetto benefico a 360° dell’attività sportiva. Questi risultati supportano il recente orientamento più liberare delle linee guida internazionali riguardo all’attività fisica nei pazienti con CMI che desiderino continuare ad allenarsi dopo aver ricevuto la diagnosi (5).
Bisogna però considerare che questi risultati non giustificano una prescrizione indiscriminata dell’esercizio fisico a tutti i pazienti con CMI, in quanto la popolazione dello studio di Basu e coll, in linea con le indicazioni delle linee guida, è una popolazione selezionata, a basso rischio di eventi aritmici. Pertanto, nei pazienti con CMI una stratificazione del rischio aritmico completa è mandatoria prima di iniziare un programma di esercizio fisico intenso.
References
- Basu J, Finocchiaro G, Jayakumar S, et al. Impact of Exercise on Outcomes and Phenotypic Expression in Athletes With Nonobstructive Hypertrophic Cardiomyopathy. J Am Coll Cardiol. 2022;80(15):1498-1500.
- Pelliccia A, Caselli S, Pelliccia M, et al. Clinical outcomes in adult athletes with hypertrophic cardiomyopathy: a 7-year follow-up study. Br J Sports Med. 2020;54:1008-1012.
- won S, Lee HJ, Han KD, et al. Association of physical activity with all-cause and cardiovascular mortality in 7666 adults with hypertrophic cardiomyopathy (HCM): more physical activity is better. Br J Sports Med. 2021;55:1034-1040.
- Basu J, Nikoletou D, Miles C, et al . High intensity exercise programme in patients with hypertrophic cardiomyopathy: a randomized trial. Eur Heart J. 2025;46: 1803-1815.
- Arbelo E, Protonotarios A, Gimeno JR, et al; ESC Scientific Document Group. 2023 ESC Guidelines for the management of cardiomyopathies. Eur Heart J. 2023 ;44:3503-3626.