Dormire male fa male al cuore?
di Laura Gatto
11 Maggio 2021

Esistono ormai numerose evidenze di come una scarsa qualità del sonno sia associata ad una aumentata incidenza di malattie cardiovascolari e di eventi cardiovascolari fatali [1]. Una recente metanalisi ha descritto nella popolazione generale un’associazione ad “U” tra la durata del sonno e la morte per tutte le cause e per cause cardiache, riportando un maggio rischio tra coloro che dormono meno di 6 o più di 8 ore [2]. Al contrario nei pazienti con scompenso cardiaco è stata osservata una relazione inversamente proporzionale tra la durata del sonno e la mortalità cardiovascolare [3].

La lunghezza del sonno non è il solo aspetto neurofisiopatologico da prendere in considerazione, ma bisogna valutarne anche la qualità, la continuità e la profondità. Ad esempio l’irregolarità del sonno, le difficoltà nell’addormentarsi e il sonno non ristoratore sono tutti fattori associati con un aumento della mortalità, indipendentemente dalla durata [4]. Brevi episodi di veglia inconscia, definiti risvegli corticali, rappresentano aspetti normali del sonno che si verificano spontaneamente o sono favoriti da disordini nella respirazione, traumi, dolore, luci o rumori del traffico [5]. Tali risvegli, indipendentemente dal meccanismo scatenante, influenzano in acuto la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la stabilità emodinamica; se ripetuti possono alterare il ritmo circadiano del sistema cardiovascolare ed impattare negativamente sul metabolismo, con conseguente ipertensione, disregolazione del profilo lipidico e comparsa di insulino-resistenza [4]. I risvegli notturni possono essere quantificati clinicamente grazie all’impiego della polisonnografia e  l’“indice di risveglio”, definito come il numero di risvegli per ora di sonno, viene spesso impiegato per descrivere la frammentazione del sonno. Elevati valori di tale indice sono sicuramente associati con cattiva qualità del sonno, sonnolenza diurna e comparsa di astenia, tuttavia non è chiaro se ci sia una relazione con un incremento del rischio di mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari.

Sull’ultimo numero dell’European Heart Journal Shahrbabaki e coll. hanno pubblicato un lavoro con lo scopo di valutare una possibile associazione tra la quantità dei risvegli notturni (definita come Arousal Burden, AB) e la mortalità a lungo termine [6]. Sono state prese in considerazione tre differenti popolazioni: 2782 uomini arruolati nell’ Osteoporotic Fractures in Men Study (MrOS) Sleep study, 424 donne arruolate nel Study of Osteoporotic Fractures (SOF), 2221 uomini e 2574 donne arruolati nel Sleep Heart Health Study (SHHS). In tali soggetti è stato calcolato l’AB nelle registrazioni polisonnografiche. Nello studio MrOS i partecipanti avevano un’età media di 76.6 ± 5.5 anni, circa la metà erano ipertesi ed in sovrappeso, nel 13% dei casi riferivano una storia di diabete, nel 17% una pregressa diagnosi di coronaropatia o di infarto miocardico e nel 6% di scompenso cardiaco. Nella coorte SOF le donne presentavano un’età media di 82.9 ± 3.2 anni, nel 40% erano ipertese ed in oltre il 60% dei casi si mostravano in sovrappeso; l’incidenza di diabete era del 13%, di pregresso infarto o coronaropatia del 12.9%, di scompenso cardiaco dell’8.5%. Nello studio SHHS la popolazione ha mostrato un’età media di 64 anni, la prevalenza di coronaropatia è stata maggiore negli uomini rispetto alle donne (rispettivamente 11.1% e 8.4%), mentre quella di scompenso cardiaco è stata circa del 4%.

La durata totale del sonno registrata alla polisonnografia è stata di 5.9 ± 1.2, 5.8 ± 1.3, 5.9 ± 1.0 e 6.2 ± 1.1 ore rispettivamente negli studi MrOS, SOF, SHHS coorte maschile e SHHS coorte femminile; l’AB è stato significativamente più elevato nel MrOS rispetto al SOF (6.60 ± 3.34% vs. 5.50 ± 3.05%, P < 0.001) e nell’SHHS coorte maschile rispetto alla coorte femminile (7.14 ± 3.72% vs. 5.43 ± 2.62%, P< 0.001).

Per quanto riguarda i dati di mortalità: durante un follow-up di circa 12 anni nello studio MrOS è stata del 23.4% (665 soggetti), con il 35.5% di morti cardiovascolari, 22% di morti per neoplasie e l’8.3% di morti per cause polmonari. Nello studio SOF, durante un periodo di osservazione di circa 7 anni, la mortalità è stata del 24.8% (105 soggetti), con il 44-8% di decessi per cause cardiovascolari, il 16.2% di decessi per neoplasie ed il 25.7% di decessi per problematiche polmonari. Nello studio SHHS durante un follow-up di circa 11 anni la mortalità è stata del 20.6% (987 decessi totali di cui 344 sono stati attribuiti a cause cardiovascolari).

Le curve di sopravvivenza hanno dimostrato una associazione tra i quartili di AB e la mortalità per tutte le cause; in modo particolare i soggetti del quarto quartile, con un  maggiore AB, definito come > 8.5% per gli uomini e > 6.5% per le donne, hanno mostrato una mortalità globale significativamente più alta (MrOS: 3.2%, P = 0.017; SOF: 8.9%, P=0.039; SHHS coorte maschile:10.2%, P < 0.001; SHHS coorte femminile: 8.4%, P<0.001). Andando invece a valutare la mortalità cardiovascolare, i soggetti con un AB maggiore hanno mostrato una più alta incidenza di decessi per cause cardiache negli studi MrOS, SOF e nella coorte femminile del SHHS (4.8%, 8% e 5.5% rispettivamente).

Nelle donne, l’analisi multivariata dopo aggiustamento per i diversi fattori confondenti, ha dimostrato  che l’AB è associato sia con la mortalità per tutte le cause [SOF: hazard ratio (HR) 1.58 (1.01–2.42), P = 0.038; SHHS coorte femminile: HR 1.21 (1.06–1.42), P = 0.012] sia con la mortalità cardiovascolare [SOF: HR 2.17 (1.04–4.50), P = 0.037; SHHS coorte femminile: HR 1.60 (1.12–2.28), P = 0.009]. Al contrario negli uomini, tale associazione sia con la mortalità per tutte le cause [MrOS: HR 1.11 (0.94–1.32), P = 0.261; SHHS coorte maschile: HR 1.31 (1.06–1.62), P = 0.011]  che per la mortalità cardiovascolare [MrOS: HR 1.35 (1.02–1.79), P = 0.034; SHHS coorte maschile: HR 1.24 (0.86–1.79), P = 0.271] sembra essere meno definita.

Shahrbabaki e coll hanno quindi dimostrato per la prima volta un associazione tra l’Arousal Burden e la mortalità a lungo termine, dato che risente anche delle differenze di genere, in quanto tale correlazione sembra essere più importante nelle donne rispetto agli uomini che tuttavia presentano un AB maggiore. Lo studio presenta, a mio avviso,  alcuni punti di forza coma la numerosità della popolazione, il fatto che i risultati siano stati confermati in tre coorti indipendenti, il lungo periodo di follow-up e l’aver preso in considerazione un end-point importante come la morte. Gli autori sottolineano la presenza anche di alcuni limiti, come la mancata tipizzazione dei risvegli notturni e la limitazione ad una sola notte della registrazione della polisonnografia.

Analizzando le popolazioni dei tre studi, sicuramente i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare erano più prevalenti nei soggetti con un AB maggiore, tuttavia il dato emergente è che l’AB si può configurare come un nuovo marker per individuare i pazienti a maggior rischio. Queste iniziali evidenze possono aprire nuovi orizzonti, volti non soltanto ad una migliore caratterizzazione di tale parametro con la definizione di valori soglia più precisi che configurino un maggior rischio, ma anche dal punto di vista delle implicazioni terapeutiche.

 

 

 Bibliografia

  1. Fan M, Sun D, Zhou T, Heianza Y, Lv J, Li L, Qi L. Sleep patterns, genetic susceptibility, and incident cardiovascular disease: a prospective study of 385292 UK biobank participants. Eur Heart J 2020;41:1182–1189.
  2. Wang C, Bangdiwala SI, Rangarajan S, Lear SA, AlHabib KF, Mohan V, Teo K, Poirier P, Tse LA, Liu Z, Rosengren A, Kumar R, Lopez-Jaramillo P, Yusoff K, Monsef N, Krishnapillai V, Ismail N, Seron P, Dans AL, Kruger L, Yeates K, Leach L, Yusuf R, Orlandini A, Wolyniec M, Bahonar A, Mohan I, Khatib R, Temizhan A, Li W, Yusuf S. Association of estimated sleep duration and naps with mortality and cardiovascular events: a study of 116,632 people from 21 countries. Eur Heart J 2019;40:1620–1629.
  3. Reinhard W, Plappert N, Zeman F, Hengstenberg C, Riegger G, Novack V, Maimon N, Pfeifer M, Arzt M. Prognostic impact of sleep duration and sleep efficiency on mortality in patients with chronic heart failure. Sleep Med 2013;14:502–509.
  4. Huang T, Mariani S, Redline S. Sleep irregularity and risk of cardiovascular events: the multi-ethnic study of atherosclerosis. J Am Coll Cardiol 2020;75:991–999.
  5. Nalivaiko E, Catcheside PG, Adams A, Jordan AS, Eckert DJ, McEvoy RD. Cardiac changes during arousals from non-rem sleep in healthy volunteers. Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol 2007;292:R1320–R1327.
  6. Shahrbabaki SS, Linz D, Hartmann S, Redline S, Baumert M. Sleep arousal burden is associated with long-term all-cause and cardiovascular mortality in 8001 community-dwelling older men and women.  Eur Heart J. 202:ehab151. doi: 10.1093/eurheartj/ehab151.