Denervazione renale: strategia terapeutica per l’ipertensione arteriosa e non solo…
di Simone Budassi intervista Francesco Versaci
06 Ottobre 2021

S. Budassi: Prof. Versaci ci chiarisce brevemente cos’è la denervazione renale?

F. Versaci: La denervazione renale (RDN) è una strategia terapeutica che utilizza sistemi percutanei che sfruttano energia a radiofrequenza o ultrasuoni per ablare il sistema nervoso simpatico a livello delle arterie renali.

S. Budassi: Perché la denervazione negli ultimi anni non è stata considerata un valido approccio terapeutico nel trattamento dell’ipertensione arteriosa?

F. Versaci: Studi iniziali come il Symplicity HTN-1 e lo studio randomizzato Symplicity HTN-2 avevano mostrato risultati promettenti della denervazione renale nel ridurre i livelli di pressione arteriosa; tuttavia, nel 2014 il trial randomizzato Symplicity HTN-3, che doveva fugare ogni dubbio, ha invece mostrato risultati non confortanti, non evidenziando differenze tra i gruppi di pazienti a confronto.

S. Budassi: Quali sono le possibili cause dei risultati del trial Symplicity HTN-3?

F. Versaci: Le ragioni di questi risultati deludenti erano molteplici, tra queste il campione di pazienti numericamente non sufficiente da un punto di vista statistico, la non adeguata selezione dei pazienti, l’inesperienza degli operatori, l’utilizzo di dispositivi di prima generazione.

S. Budassi: Perché l’RDN dopo anni di abbandono è tornata in auge?

F. Versaci: Sono stati concepiti diversi trial randomizzati, disegnati in maniera più rigorosa ed utilizzando dispositivi di seconda generazione. Il DENERHTN trial, lo Spyral HTN-OFF MED trial, lo Spyral HTN-ON MED trial e il RADIANCE-HTN SOLO trial hanno evidenziato come la denervazione renale abbia determinato una riduzione significativa della pressione arteriosa ambulatoriale. Questi risultati hanno incoraggiato l’utilizzo di questa tecnica con i nuovi cateteri a disposizione.

S. Budassi: Come sono cambiate le raccomandazioni per l’utilizzo della RDN nel trattamento della IA?

F. Versaci: Le linee guida ESC/ESH 2018 relegavano la RDN ad un ruolo marginale per il trattamento dell’IA, essendo considerata non raccomandata nel trattamento routinario dei pazienti con IA. Queste nuove evidenze scientifiche hanno però modificato la percezione del mondo medico su questa metodica, portando alla stesura di consensi nazionali e internazionali. In questi consensi si raccomanda l’utilizzo della metodica in pazienti con IA resistente, ma si prende in considerazione anche una seconda tipologia di pazienti, quelli restii a seguire un trattamento farmacologico cronico.

S. Budassi: Qual è la correlazione fisiopatologica tra IA e fibrillazione atriale?

F. Versaci: L’ipertensione è un importante fattore di rischio per la fibrillazione atriale (FA) facilitandone l’esordio, le recidive e la persistenza, inoltre l’incidenza di FA aumenta con la presenza di ipertrofia ventricolare e scompenso cardiaco, spesso conseguenze di ipertensione non controllata. Lo squilibrio del sistema nervoso simpatico e vagale, ha ruolo chiave nella patogenesi dell’IA, determinano stiramento e dilatazione delle pareti atriali con effetti deleteri sull’attività elettrica e quindi sul rischio di instaurarsi della FA. L’attivazione adrenergica rappresenta inoltre un trigger su un substrato atriale vulnerabile nell’indurre aritmie. L’effetto antiaritmico della RDN si basa sulla riduzione dell’attività del sistema nervoso simpatico evidenziato attraverso la riduzione dello spillover della noradrenalina. Studi prospettici randomizzati hanno dimostrato l’efficacia della denervazione renale (RDN) come terapia aggiuntiva all’isolamento delle vene polmonari (IVP) nei pazienti con ipertensione arteriosa resistente e fibrillazione atriale. Il follow-up ha mostrato una riduzione significativa della pressione arteriosa sistemica nei pazienti trattati con denervazione renale e una riduzione significativa di recidiva di fibrillazione atriale rispetto ai solo trattati con solo isolamento delle vene polmonari.

S. Budassi: Concludendo che futuro vede per la RDN nella pratica clinica?

F. Versaci: I recenti studi effettuati sulla seconda generazione di dispositivi per RDN hanno dimostrato l’efficacia della RDN nel ridurre i valori di PA in modo significativo e clinicamente rilevante. L’intensità della risposta sui valori pressori se traslata ad effetti analoghi sui valori di PA ottenuti da studi farmacologici, determina una significativa riduzione di rischio di eventi cardiovascolari. Tali risultati giustificano l’utilizzo della RDN nella pratica clinica in pazienti selezionati. Da ultimo, ma non meno importante, la modulazione della RDN sul sistema simpatico ha mostrato effetti antiaritmici antiaritmici in pazienti sintomatici con FA sottoposti a IVP rappresentando pertanto un ulteriore strategia terapeutica.