Lo studio PEGASUS-TIMI 54 ha dimostrato che nei pazienti con storia di pregresso infarto miocardico il prolungamento della duplice terapia antiaggregante (DAPT) con aspirina e ticagrelor è associata ad una riduzione significativa degli eventi ischemici con un incremento accettabile del rischio di sanguinamenti soprattutto con il dosaggio di 60 mg che è quello ormai impiegato nella comune pratica clinica dopo i primi 12 mesi di DAPT tradizionale nei soggetti a maggior rischio di recidive[1].
Su uno degli ultimi numeri dell’European Heart Journal, Furtado e coll. hanno pubblicato i risultati di una sottoanalisi prespecificata dello studio PEGASUS che si è focalizzata sui pazienti che non presentavano storia di stenting coronarico. L’endpoint primario di efficacia è stato il composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico ed ictus (MACE: eventi cardiaci avversi maggiori); mentre gli endpoint secondari hanno incluso le singole componenti dei MACE e la morte per tutte le cause. L’endpoint primario di sicurezza ha considerato i sanguinamenti maggiori e minori secondo la classificazione TIMI, i sanguinamenti fatali e le emorragie intracraniche. E’ stato inoltre definito il beneficio clinico netto (composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus, sanguinamenti fatali o intracranici)[2].
Dei 21162 soggetti arruolati nel trial principale, 4199 (19.8%) non presentavano una storia di pregressa rivascolarizzazione coronarica con stent. Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche, i due gruppi risultavano differenti, infatti i soggetti senza storia di stenting mostravano un profilo di rischio basale più elevato: erano più anziani, più frequentemente erano donne o riferivano una storia di diabete mellito, scompenso cardiaco o insufficienza renale cronica. Al contrario, nei pazienti con anamnesi di precedente angioplastica si documentava una più alta incidenza di malattia coronarica multivasale, di STEMI come evento indice ed un maggiore trattamento con farmaci beta-bloccanti e con statine ad alta efficacia.
All’interno del gruppo placebo i pazienti senza storia di pregresso stenting hanno presentato un rischio assoluto di MACE significativamente più alto rispetto ai pazienti con storia di stenting (13.2% vs. 8.0% a 3 anni; HR 1.41; 95% CI 1.15–1.73; P= 0.0008). Inoltre hanno mostrato un rischio maggiore di morte cardiovascolare (7.7% vs 2.3% 2.41; 95% CI 1.76–3.30; P< 0.0001), di morte per tutte le cause (10.0% vs. 3.9%; HR 2.03; 95% CI 1.57–2.62; P < 0.0001) e delle componenti comprese nel beneficio clinico netto (13.5% vs. 8.2%; HR 1.41; 95% CI 1.16–1.72; P= 0.0008). Non sono state invece evidenziate differenze significative nel rischio emorragico, sia considerando i sanguinamenti TIMI maggiori (HR 0.85; 95% CI 0.40–1.81; P= 0.67) sia considerando i maggiori ed i minori (HR 1.14; 95% CI 0.61–2.12; P= 0.69).
Il prolungamento del trattamento con ticagrelor si è associato, invece, ad un rischio significativamente più basso di MACE indipendentemente dall’ anamnesi di pregressa rivascolarizzazione percutanea (HR 0.82; 95% CI 0.68–0.99 per i pazienti senza precedente stenting rispetto ad un HR 0.85; 95% CI 0.75–0.96 per i pazienti con precedente stenting; P di interazione = 0.76). Considerato inoltre il fatto che i pazienti senza storia di precedente angioplastica coronarica presentavano un rischio basale di MACE più elevato, in questo sottogruppo l’effetto positivo del prolungamento della DAPT è stato ancora più accentuato con una maggiore riduzione del rischio assoluto di eventi (2.1 vs 1%) e con un NNT (number needed to treat) che è risultato di 47 (rispetto al 98 che invece si registrava nei pazienti con storia di stent). L’impiego di ticagrelor in questa sottopopolazione si è dimostrato inoltre correlato ad un più basso numero di morti cardiache (HR 0.80; 95% CI 0.62–1.03; P= 0.087) e di morti per tutte le cause (HR 0.79; 95% CI 0.64–0.99; P= 0.036). Questo risultato si è raggiunto anche per le altre singole componenti dei MACE ed per entrambe le dosi di ticagrelor. Il prolungamento della DAPT si è associato, ovviamente, ad un incremento del rischio di sanguinamento, ma tale rischio è risultato indipendente dalla storia di pregresso impianto di stent coronarico (HR 1.93; 95% CI 0.99–3.78 per i pazienti senza precedente stenting vs HR 2.65; 95% CI 1.90–3.68 per i pazienti con precedente stenting; P di interazione = 0.41). Pertanto il beneficio clinico netto è rimasto consistente indipendentemente dalla storia di pregresso stenting: HR 0.89; 95% CI 0.79–1.00 per i pazienti con vs. HR 0.83; 95% CI 0.69–1.01 per i pazienti senza precedente stent coronarico; P di interazione = 0.59). Gli autori hanno quindi concluso che per ogni 1000 pazienti con storia di pregresso infarto miocardico ma non trattati con stenting e seguiti per tre anni, il prolungamento della DAPT con aspirina ticagrelor è in grado di prevenire 21 MACE e 15 morti per tutte le cause a fronte di 9 sanguinamenti maggiori.
I risultati di questa sottoanalisi del PEGASUS sono molto importanti, innanzitutto perché bisogna considerare che ancora oggi una certa parte dei pazienti con infarto miocardico non viene rivascolarizzata per varie ragioni che includono l’età avanzata, la presenza di numerose comorbidità (insufficienza renale, anemia, la disfunzione ventricolare sinistra) e l’estensione della malattia coronarica ritenuta non suscettibile di rivascolarizzazione percutanea. Molti elementi che fanno preferire una strategia medica conservativa sono però associati ad un più alto rischio di ricorrenza di nuovi eventi cardiovascolari. A queste conclusioni giungono anche Furtado e coll, dimostrando però come in questo sottogruppo di pazienti il prolungamento della DAPT si accompagni ad un robusto beneficio in termini di riduzione dei MACE senza però determinare un rischio incrementale di sanguinamenti. Tali risultati ci portano a fare anche un’altra considerazione: l’efficacia di una DAPT prolungata nei pazienti con storia di pregresso IMA è dovuta soprattutto alla riduzione di nuovi eventi atero-trombotici piuttosto che agli outcome legati alla stent failure. È infatti ormai ampiamente dimostrato come il rischio di trombosi sia veramente molto basso con gli stent medicati di ultima generazione che vanno incontro ad un processo di reindotelizzazione molto rapido. Studi come il PROSPECT [3] ed il CLIMA [4] hanno inoltre rafforzato il concetto che la ricorrenza di eventi non è tanto da ricercare nella lesione culprit precedentemente sottoposta ad impianto di stent, quanto nella progressione o nella “instabilizzazione”della malattia in altri punti dell’albero coronarico.
Bibliografia
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- Furtado RHM, Nicolau JC, Magnani G, Im K, Bhatt DL, Storey RF, Steg PG, Spinar J, Budaj A, Kontny F, Corbalan R, Kiss RG, Abola MT, Johanson P, Jensen EC, Braunwald E, Sabatine MS, Bonaca MP. Long-term ticagrelor for secondary prevention in patients with prior myocardial infarction and no history of coronary stenting: insights from PEGASUS-TIMI 54. Eur Heart J. 2020;41:1625-1632.
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