Crioablazione vs terapia antiaritmica nella fibrillazione atriale parossistica: i dati a 3 anni dello studio EARLY-AF
di Filippo Brandimarte
15 Novembre 2022

Sebbene la fibrillazione atriale inizi come un disordine elettrico isolato, il progressivo rimodellamento strutturale ed elettrico del cuore porta a forme aritmiche di più lungo corso. La progressione da forme parossistiche (episodi che durano meno di 7 giorni consecutivi) a persistenti (che durano per 7 giorni o più), infatti, si verifica dall’8 al 15% dei pazienti ad 1 anno e intuitivamente è associata ad un incremento dei tassi di tromboembolismo, scompenso cardiaco ed inevitabilmente ad aumento della spesa sanitaria. (1) Inoltre, una iniziale strategia di controllo del ritmo è associata ad una riduzione del rischio di morte per cause cardiovascolari e ad un ridotto rischio di ictus nei pazienti in cui la fibrillazione atriale è stata diagnostica da non più di un anno. (2) L’ablazione transcatetere ha dimostrato di ridurre le recidive aritmiche, di produrre un miglioramento della qualità di vita ed infine di ridurre la spesa sanitaria. (3) Dal momento che quest’ultima è una tecnica che è in grado di interrompere il meccanismo patogenetico che porta allo sviluppo e alla cronicizzazione della fibrillazione atriale, si è generata l’interessante ipotesi di studio per la quale il ricorso precoce alla terapia ablativa possa limitare la progressione della malattia e quindi migliorare gli outcomes clinici.

A tale scopo è stato disegnato e condotto lo studio randomizzato e multicentrico EARLY-AF pubblicato lo scorso anno che ha dimostrato come rispetto alla terapia antiaritmica la crioablazione riduca le recidive aritmiche a partire dal terzo mese fino ad 1 anno (nei primi mesi post-ablazione è nota, infatti, la possibilità di recidive legate alla cicatrice indotta e non per inefficacia). (4) Una estensione dei dati a 3 anni invece è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine e presentata al congresso dell’American Heart Association di Chicago conclusosi lo scorso 7 novembre. (5) I criteri di inclusione sono stati l’età maggiore di 18 anni ed almeno 1 evento aritmico sintomatico e documentato elettrocardiograficamente nei 24 mesi precedenti la randomizzazione. Sono stati esclusi i pazienti in trattamento antiaritmico con farmaci di classe I o III a dosi terapeutiche. Entro 24 ore dall’arruolamento tutti i pazienti (n=303, 154 per il braccio crioablativo e 149 per quello antiaritmico) sono stati sottoposti ad impianto di loop recorder (Medtronic Reveal LINQ) per una puntuale registrazione degli eventi aritmici. I pazienti con età sopra 65 anni e con CHADSVASC score ≥ 1 sono stati anticoagulati come anche tutti i pazienti sottoposti ad ablazione per 3 mesi successivi alla procedura. Il follow-up per tutti i pazienti è stato di 3 anni, sufficientemente lungo per trarre conclusioni sulla progressione della malattia aritmica. L’endpoint primario era un primo episodio di fibrillazione atriale persistente definito come un episodio aritmico di almeno 7 giorni o più lungo con successiva cardioversione spontanea o un episodio di almeno 48 ore fino a 7 giorni che ha necessitato la cardioversione per il ripristino del ritmo sinusale. Inoltre, è stato registrato il tasso di recidive a 3 anni. Endpoint secondari sono stati il burden aritmico, lo studio della qualità di vita, il numero di accessi in pronto soccorso, ricoveri, cardioversioni ed eventi avversi maggiori.

Dopo un follow-up di 3 anni un episodio di fibrillazione atriale persistente si è verificato in 3 dei 154 (1.9%) pazienti del braccio ablativo e in 11 dei 149 (7.4%) pazienti del braccio con antiaritmici. La durata media dell’evento aritmico è stata di circa 15 giorni. Una recidiva aritmica (nel 90% circa fibrillazione atriale) durata più di 30 secondi si è verificata in 87 pazienti del gruppo ablativo (56.5%) e in 115 pazienti (77.2%) nel gruppo antiaritmici. Il burden di fibrillazione è stato dello 0.00% nel gruppo ablazione e dello 0.24% nel gruppo farmacologico. Sintomi di palpitazioni sono stati riportati nel 4.8% dei pazienti del braccio ablazione rispetto al 17.1% dei casi nel braccio antiaritmici. Il 5.2% dei pazienti nel gruppo ablativo ha effettuato un ricovero ospedaliero rispetto al 16.8% del gruppo antiaritmici. Eventi avversi maggiori si sono verificati nell’11% dei pazienti del gruppo ablazione (1 decesso, 3 casi di paralisi del frenico con recupero spontaneo e 2 impianti di pacemaker) rispetto al 23% nel gruppo antiaritmico (1 decesso, 2 casi di tachicardia a complessi larghi, 2 instabilizzazioni di scompenso cardiaco 3 casi di sindromi coronariche acute, 2 ictus, 1 TIA, 3 episodi sincopali e 4 impianti di pacemaker).

Lo studio ha quindi dimostrato che la crioablazione è associata ad un inferiore tasso di fibrillazione atriale persistente e ad un inferiore burden aritmico rispetto alla terapia antiaritmica. Inoltre, l’ablazione attraverso l’isolamento delle vene polmonari, la denervazione vagale e la modificazione della giunzione vene polmonari-atrio sinistro è in grado di effettuare un rimodellamento elettrico e strutturale inverso in grado di modificare la storia naturale della malattia aritmica come dimostrato dalla netta riduzione nel braccio ablativo dei casi di fibrillazione atriale persistente con tutte le ricadute economiche sull’utilizzo delle strutture sanitarie che ne conseguono. Diversamente da quanto osservato nel recente studio ATTEST (in cui si è usata la tecnica ablativa con radiofrequenza) che ha arruolato solo pazienti in cui la terapia antiaritmica era stata fallimentare (fatto che poteva potenzialmente nascondere l’efficacia della tecnica ablativa), (6) nello studio in oggetto i pazienti non avevano assunto terapia antiaritmica prima della randomizzazione e, nonostante fossero mediamente pazienti più giovani, con meno comorbidità e con una probabilità quindi di progressione della malattia aritmica più bassa, questo non ha impedito di notare ancora una differenza significativa nei due gruppi a vantaggio del braccio ablativo. Questi dati contribuiscono anche a spiegare l’insuccesso sugli outcomes clinici di precedenti trial farmacologici come l’AFFIRM in cui sono stati arruolati pazienti con fibrillazione atriale di lungo corso ed il trattamento pertanto iniziato troppo tardi per poter interrompere la progressione di malattia. (7) Altro dato importante che emerge leggendo fra le righe è l’importanza della terapia anticoagulante orale per almeno 3 mesi dopo la terapia ablativa. In altre parole, in accordo con altri studi sull’argomento, l’ablazione non può essere considerata una terapia alternativa alla terapia anticoagulante almeno nel breve periodo post procedura.

Bibliografia

  1. Padfield GJ, Steinberg C, Swampillai J, et al. Progression of paroxysmal to persistent atrial fibrillation: 10-year follow-up in the Canadian Registry of Atrial Fibrillation. Heart Rhythm 2017;14:801-7.
  2. Kirchhof P, Camm AJ, Goette A, et al. Early rhythm-control therapy in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2020;383:1305-16.
  3. Andrade JG, Wazni OM, Kuniss M, et al. Cryoballoon ablation as initial treatment for atrial fibrillation: JACC state-of-the-art review. J Am Coll Cardiol 2021;78:914-30.
  4. Andrade JG, Wells GA, Deyell MW, et al. Cryoablation or drug therapy for initial treatment of atrial fibrillation. N Engl J Med 2021;384:305-15.
  5. Andrade JG, Macle DL, Wells GA et al. Progression of atrial fibriollation after cryoablation of drug therapy. New Engl J Med 2022 online ahead of print.
  6. Kuck K-H, Lebedev DS, Mikhaylov EN, et al. Catheter ablation or medical therapy to delay progression of atrial fibrillation: the randomized controlled atrial fibrillation progression trial (ATTEST). Europace 2021;23:362-9.
  7. Wyse DG, Waldo AL, DiMarco JP, et al. A comparison of rate control and rhythm control in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2002;347:1825-33.