Un numero crescente di studi suggerisce l’esistenza di una connessione significativa tra le attività del microbiota intestinale ed il rischio cardiovascolare.
Dott. Poli quale in che modo il microbiota intestinale influenza le malattie cardiache?
Il microbiota agirebbe con meccanismi differenti: ceppi batterici specifici potrebbero per esempio svolgere effetti diretti sull’aterogenesi o invece modificare, sia in senso potenzialmente aterogeno che in senso protettivo, composti naturalmente presenti negli alimenti.
Un esempio di queste interazioni può essere costituito dal legame tra consumo di carne e uova e aumento del rischio cardiovascolare?
Esatto. La spiegazione classica di questa associazione fa riferimento soprattutto alla presenza, in questi alimenti, di acidi grassi saturi (specie nella carne) e di colesterolo preformato (specie nelle uova). Ambedue questi componenti aumenterebbero i livelli del colesterolo legato alle LDL, e quindi il rischio cardiovascolare. Questa interpretazione si è tuttavia, di recente, molto indebolita ed è possibile che le carni e le uova favoriscano la formazione di lesioni ateromasiche mediante un processo non collegato al loro effetto sulla colesterolemia.
Abbiamo qualche ipotesi al riguardo?
Si. Gli autori di un lavoro ormai classico hanno infatti identificato e caratterizzato un meccanismo metabolico ben definito che partendo da colina, fosfatidilcolina, o carnitina (presenti in numerosi alimenti di origine animale), porta alla formazione di trimetilamina (TMA); la TMA viene quindi ossidata, per via enzimatica, dal fegato, con formazione di trimetilamina ossido (TMAO). La TMAO sarebbe la vera responsabile del danno arterioso: se i suoi livelli ematici sono elevati, infatti, il rischio di eventi cardiovascolari aumenta del 60% circa.
Va tuttavia rilevato, anche per confermare lo stato di estrema “fluidità” delle conoscenze sull’argomento, che il meccanismo che collega il consumo di carne e uova all’aterogenesi mediante la sintesi della TMAO è messo in dubbio da alcuni autori, che ipotizzano che la TMAO possa essere solo un indicatore, e non la causa reale, del danno alla parete arteriosa.
E il microbiota come è coinvolto in questo processo?
È coinvolto perché la conversione della carnitina, della colina o della lecitina in TMA avviene solamente in presenza, a livello intestinale, di ceppi batterici caratterizzati da una specifica dotazione enzimatica.
Ciò appare avere rilevanti implicazioni pratiche.
Certo, è infatti intuitivo che, se il meccanismo descritto è quello che spiega il danno vascolare associato al consumo della carne e delle uova, tale danno potrebbe essere controllato anche modificando la composizione del microbiota intestinale. Analogamente, è ipotizzabile che soggetti con una diversa composizione del microbiota stesso possano reagire in modo diverso all’apporto alimentare di carnitina e di colina (e quindi di carne e di uova), che si trasformerebbero in TMAO nei soggetti che ospitano nel loro intestino i ceppi batterici rilevanti al proposito, mentre in altri soggetti (privi di tali ceppi nella flora intestinale) tale conversione potrebbe non aver luogo. Se questo scenario venisse confermato, modificare la dieta, o invece intervenire sul microbiota, e quindi sulle modificazioni metaboliche indotte dal microbiota stesso su componenti della dieta, diventerebbero procedure alternative, o complementari, da valutare attentamente nei loro effetti complessivi sul rischio cardiovascolare.
Stiamo parlando di domani o di un futuro remoto?
Trasferire questi concetti generali alle raccomandazioni operative è tuttavia complesso, e probabilmente per ora prematuro. Ma è ragionevole pensare che, in tempi più o meno brevi, potremo conoscere e forse influenzare questi processi: modificando così in modo marcato – se i presupposti si riveleranno esatti – la relazione tra alcuni importanti componenti della dieta e la salute.
L’aterosclerosi e le sue manifestazioni cliniche sono caratterizzate da un’attivazione dei processi infiammatori. Il microbiota influenza anche questo aspetto?
In effetti la TMAO sembra possedere anche uno specifico effetto pro-infiammatorio, che risulterebbe rilevante nel determinare il suo contributo al rischio cardiovascolare. Recentemente si è evidenziato che alcuni composti di sintesi batterica sono dotati di un’interessante azione antinfiammatoria. Il microbiota intestinale produce questi composti soprattutto a partire dalle fibre fermentescibili contenute essenzialmente nella frutta, nella verdura e nei cereali integrali. Questa azione antinfiammatoria può contribuire a giustificare i favorevoli risultati che il consumo di fibra svolge sul rischio sia cardiovascolare che neoplastico, nonché sulla mortalità per tutte le cause.
Per finire non può mancare una domanda sulla dieta mediterranea.
La domanda è opportuna in quanto è verosimile che almeno alcuni dei vantaggi di salute tipici della dieta mediterranea, specie sul rischio cardiovascolare, possano in realtà derivare dallo specifico microbiota che si associa a tale dieta. Nella maggior parte degli studi pubblicati, in effetti, il consumo di una dieta di tipo mediterraneo si associa ad un microbiota differente da quello associato invece a un pattern dietetico di tipo occidentale. Il microbiota che si potrebbe definire di tipo mediterraneo è innanzitutto caratterizzato da una maggiore biodiversità (e cioè da un maggiore numero di specie batteriche identificate), una caratteristica che è considerata positiva dal punto di vista degli effetti sulla salute.