Dall’ira di Achille al Dies irae, in tutti i testi antichi, pagani o “sacri”, riscontriamo spesso l’ira come incomoda protagonista nelle vicende mitiche, divine e umane. Nell’ultimo articolo ho scritto dell’ira (o rabbia o collera che dir si voglia) in termini di definizione e in relazione ai danni cardiaci che può provocare. In questo spazio comunicativo, invece, tenterò di dare alcuni suggerimenti sulla sua migliore gestione. Impresa ardua, specialmente quando l’estensione concessa per trattare l’argomento si riduce a poche righe.
L’ira può essere “reattiva” oppure “endogena”.
La sua insorgenza, cioè, può essere dovuta ad eventi esterni (ad esempio, una persona ci colpisce e noi reagiamo con violenza) o ad eventi interni per lo più avvenuti nello stadio primario della formazione psicologica (in questo caso parleremo di carattere iroso).
Nel primo caso, molto comune, è facile comprendere da cosa dipenda l’ira che, comunque, appartiene alla struttura della personalità cosiddetta “normale”: se qualcuno mi offende o mi attacca non è considerato patologico se si risponde con una reazione irosa, specialmente se è proporzionata all’insulto o al danno fisico subito.
Nel secondo caso, quello del carattere iroso, la comprensione è un po’ più complicata. È ineludibile, a questo punto, un minimo accenno esplicativo per chiarire meglio da dove parta l’ira endogena (interna) e come si forma una personalità irosa.
La costituzione interna psicologica primaria dà luogo, nell’arco dell’esistenza, alla formazione delle cosiddette mappe cognitive. Queste sono delle bussole di vita, anche del tutto coscienti, che ci orientano facendoci “scegliere” il comportamento “adeguato” agli eventi che si susseguono. La costituzione interna psicologica primaria, però, si costruisce pure in accordo con delle mappe che possono essere meno coscienti che chiamerò “fattori inconsci”, per l’appunto.
Il formidabile psicoanalista inglese John Bowlby, nella sua teoria dell’attaccamento e della perdita, definisce tre fasi fondamentali di risposta del bambino quando è abbandonato:
a) La protesta;
b) La disperazione
c) Il distacco
Quella che c’interessa di più delle tre fasi di Bowlby per la comprensione del carattere iroso è la prima: la protesta.
Il bambino abbandonato esprime inizialmente con grave sofferenza la sua ira che è un segnale preciso verso chi si deve occupare di lui e non lo fa. Se la formazione del nostro carattere è stata influenzata da un evento primario d’abbandono, da adulti saremo particolarmente sensibili a tutti quei comportamenti altrui, anche e soprattutto simbolici, che tenderanno a rievocare la nostra angoscia psichica primaria dovuta a quella prima esperienza d’abbandono. Un’offesa, per esempio, è un atto evocativo perché disconfermante e riesuma il nostro vissuto d’abbandono, massima disconferma dell’Io.
Cosa fare allora per difendersi da un attacco d’ira esagerato?
Ivan Battista
Psicologo, psicoterapeuta, docente presso la Scuola Medica Ospedaliera,
Ospedale Santo Spirito, Roma