BYPASS, 50 ANNI DOPO E 50 ANNI PRIMA
di Eligio Piccolo
12 Giugno 2018

E’ passato mezzo secolo da quando dalla Cleveland Clinic partì il messaggio secondo cui si poteva rimettere a posto una coronaria strozzata dall’arteriosclerosi mediante un intervento chirurgico. Nel quale si collegava con un pezzo di vena l’aorta, dove il sangue scorre libero, e la coronaria malata subito dopo l’ostacolo che ne riduce il flusso. Non era certo una chirurgia semplice come quella per l’appendicite, bisognava aprire il torace, fermare il cuore e i polmoni, sostituendoli con una macchina artificiale. Non era nemmeno una novità assoluta quella che l’italo-argentino René Geronimo Favaloro, arrivato negli USA per imparare, mise a punto con abilità, perseveranza e fantasia latine, laddove oramai si disperava di risolvere quel problema.

Prima di lui altri l’avevano tentata negli animali. Il primo fu addirittura Alexis Carrel, l’autore de “L’uomo questo sconosciuto” che affascinò tanti futuri medici; il quale nel 1910 lo attuò nel cane, ma l’animale morì quasi subito ed egli dovette concludere che quella chirurgia era possibile solo se attuata entro tre minuti. Aveva visto giusto perché quel tempo sarà possibile superarlo solo con la suddetta macchina cuore-polmoni, ma quarant’anni dopo. Nel frattempo altri interventi nell’uomo per migliorargli indirettamente la circolazione coronarica furono intrapresi da molti innovatori, certamente muniti di conoscenza scientifica e di buona volontà, ma con risultati effimeri. Per cui venne crescendo un certo scetticismo sulla possibilità di risolvere con il bisturi una malattia i cui presupposti e le cui lesioni, si pensava, erano profondamente radicati nelle alterazioni metaboliche e nell’ereditarietà.

Non sorprende quindi che alla fine degli anni ’60, 50 anni fa, in un congresso internazionale a Londra, nell’affollato Convention Center, il giovane Favaloro, presentando i suoi 200 casi di bypass ben riusciti, si fosse trovato in minoranza di fronte alle contestazioni di chi aveva vissuto una vita di tentativi naufragati nel nulla terapeutico. Era il Dottor Charles Friedberg, il guru della cardiologia mondiale di allora, autore del trattato che ogni specialista consultava, il cui fascino di vecchio e sapiente clinico aveva buon gioco sul look del giovane e spavaldo sudamericano con i basettoni. I risultati però erano veri e il tempo darà ragione a quel giovane e ai molti altri che con lui miglioreranno negli anni a venire la tecnica e le indicazioni al bypass aorto-coronarico. Friedberg lascerà il testimone, speriamo in tempo per ricredersi dell’Editoriale che pubblicò dopo quel dibattito con il titolo non equivocabile “Timeo chirurgos et dona ferentes”; Favaloro sarà travolto dal suo generoso entusiasmo e anche da una certa ingenuità, perché tornato in patria dove volle fondare e realizzare un grande centro cardiochirurgico a beneficio del suo paese, travolto dalla crisi economica dell’Argentina, si lascerà andare nel pessimismo e fermerà il suo cuore con una 377 Magnum.

Cammin facendo un altro cardiologo, il cui cuore si fermerà precocemente in un volo aereo, lo svizzero Andreas Gruentzig, costruirà per primo nel 1977 un catetere capace di gonfiarsi a palloncino e dilatare la coronaria ristretta, senza quindi l’impegno della grande chirurgia, nei pazienti con angina. Precedeva lo “stent”, che dopo il successo iniziale dovrà essere a più riprese migliorato onde evitare le recidive. Oggi ve ne sono di tutti i tipi e per tutte le indicazioni, da quello metallico al sintetico, dal protetto con farmaci a quello che si riassorbe spontaneamente, lasciando quindi al cardiologo la responsabilità di decidere secondo il caso clinico e la sua esperienza. Così come dovrebbe essere sempre in medicina. La nuova scoperta non sostituirà affatto la chirurgia del bypass, ma si integrerà con essa nelle differenti indicazioni, perché nel frattempo l’esperienza ha portato alla luce due grandi risultati:

1- La chirurgia del bypass migliorerà utilizzando oltre ai pezzi di vena prelevati dalle gambe le arterie toraciche, preciserà meglio i pazienti che ne beneficiano, potrà essere attuata in alcuni casi anche “a cuore battente”, ossia senza sostituirlo con la macchina, ma soprattutto dimostrerà un beneficio di più lunga durata rispetto allo stent, fino a 15-20 anni senza complicazioni.

2- L’angioplastica con lo stent e il palloncino, a sua volta, beneficerà sempre meglio, come ho detto, dei progressi tecnologici, delle più precise indicazioni, della possibilità di entrare nella coronaria malata con speciali cateteri che vedono e misurano perfino il grado idraulico della strettura; ma soprattutto dal suo impiego quasi routinario nei pazienti con infarto acuto, nei quali questo intervento attuato precocemente ridurrà sia il danno al muscolo del cuore che le sue temute conseguenze nei mesi e anni a venire (aritmie, insufficienza cardiaca e morte improvvisa).

Questo meraviglioso tonfo e ritonfo della palla terapeutica fra chirurghi e cardiologi, ognuno con le proprie abilità, ottenute mediante uno studio continuo e sempre attenti ai migliori risultati per il malato, ci porta a gioire. Poiché quello che un secolo fa era una competizione di supremazia fra chi usava il bisturi e chi la medicina non invasiva oggi è una emulazione nella collaborazione. Quella che sembrava una specie di guerra fredda fra competenze e superspecialità è scomparsa con la caduta del muro delle culture autoreferenziali, che impedivano la collaborazione culturale e allontanavano i medici dal Grande Vecchio di Coo, Ippocrate.

Eligio Piccolo
Cardiologo