La cardiopatia ischemica, angina pectoris e infarto miocardio, diventata la causa principale di morte prematura nel secondo dopoguerra, mieteva vittime anche in passato, fin dall’antichità. Ancorché rare, morti per attacco cardiaco si ritrovano in tutte le epoche, ma la storia della malattia ha inizio a Londra alla metà del XVIII secolo. Nel pomeriggio del 21 luglio 1768 si tenne una riunione al College of Physicians di Londra, l’aula era più gremita del solito perché c’era in programma una comunicazione del dottor William Heberden. Heberden non era un cattedratico, era un medico pratico molto stimato, che annoverava fra i suoi pazienti molti membri dell’alta società londinese fra i quali lo stesso re Giorgio III. Heberden esordì: “Esiste un’infermità caratterizzata da sintomi violenti e peculiari di grande importanza per il pericolo che comporta, non del tutto rara e che non risulta finora segnalata. La sua localizzazione e la sensazione angosciosa che la caratterizzano, fanno sì che non sia improprio chiamarla angina pectoris. Coloro che ne sono sofferenti, sogliono essere colpiti mentre camminano, specie dopo i pasti, da una sensazione dolorosa nel petto, che dà l’impressione di morte imminente. Arrestando il passo, il disturbo svanisce. Al di fuori dell’attacco, i pazienti risultano in buona salute, e soprattutto non accusano dispnea. Col passare del tempo le manifestazioni compaiono non solo durante il cammino, ma anche quando il paziente è coricato e persino con la deglutizione, la tosse, la defecazione, la conversazione o le preoccupazioni. Venti di questi ammalati erano uomini al di sopra della cinquantina, in maggioranza persone dal collo corto e tendenti alla pinguedine. La regione sternale suole essere la sede di elezione del dolore che ha tendenza allo spostamento verso il lato sinistro, in particolare al braccio”. Proseguì Heberden: “L’ipotesi di uno spasmo risulta plausibile. La sindrome può continuare per anni senza che si presentino altri disturbi. Il polso e il cuore raramente si alterano. Non ho mai potuto controllare all’autopsia nessuno di tali casi. Il salasso, gli emetici ed evacuanti non mi pare che siano benefici. Il vino e i liquori, presi prima di coricarsi, possono prevenire o almeno mitigare gli attacchi notturni, ma nulla ha un’azione così sicura come gli oppiacei. Col tempo e con la dedizione all’argomento si scopriranno, indubbiamente, ausilii maggiori per lottare contro questo male, ma non bisogna sperare molto di poter incontrare un metodo curativo di un processo tanto sconosciuto, che non ha trovato sinora, per quanto io sappia, un posto o un nome nella storia delle malattie”. Questo disse il dottor William Heberden ai suoi colleghi nel 1768, ed è difficile oggi fare una descrizione più precisa e completa dell’attacco coronario. Gli inglesi, in suo onore, chiamano la malattia di Heberden, l’angina pectoris. La comunicazione annotata in un quaderno, venne pubblicata dal figlio, William Heberden junior. Il padre non volle cambiare neppure una parola al testo originario; aggiunse un solo rigo: “Ho visto circa 100 infermi affetti da questo male, e solo tre erano donne”. Heberden aveva anche un motivo personale per interessarsi tanto a questa malattia sconosciuta: soffriva di angina pectoris. I suoi attacchi erano provocati soprattutto dalle tensioni emotive. Ad un amico confidò: “Sono in balia del primo imbecille che mi farà andare in collera”. Individuò tutte le forme di angina pectoris quelle più comuni, da sforzo, spontanea, ingravescente, post-prandiale, da decubito, da freddo, e quelle rare e atipiche, da deglutizione, da primo sforzo (che scompare proseguendo la marcia), da accovacciamento. Si può dire che ignorasse solo l’angina “variante”, che non può essere diagnosticata senza l’ausilio dell’elettrocardiografia. Fece la completa e perfetta nosografia dell’angina pectoris senza individuarne la causa, per il semplice motivo che niente sapeva della fisiopatologia coronaria. Le coronarie, nella seconda metà del ‘700 non avevano ancora destato l’interesse dei medici.
Breve storia della cardiopatia ischemica