ATTENTI AI PAFFUTELLI
di Eligio Piccolo
09 Luglio 2019

Non avremmo voluto ritornare sul reiterato problema dell’adipe in eccesso, che ci portiamo dietro come sovrappeso od obesità (1), entrambi implicati quali fattorI di rischio sia delle malattie cardiovascolari e del diabete sia delle artropatie, specie delle anche e dei ginocchi gravati da quel maggiore peso. In altre occasioni infatti avevamo già segnalato con dovizia di particolari questa problematica, trattata da eminenti ricercatori ed epidemiologi del mondo anglosassone. Sembrava se ne fosse fatto il punto della situazione e non l’avremmo certo riconsiderato se il nuovo annuncio non venisse dall’Università di Lipsia, dai tedeschi, che sono gente seria quando affrontano la musica o la ricerca scientifica, meno affidabili se si danno alle armi.
Il dottor Mandy Geserick e il suo gruppo di quell’ateneo sono andati infatti più a fondo, ossia alle origini del problema, a quando l’essere umano si forma nell’utero materno, alla nascita e agli anni della sua vita infantile e dell’adolescenza. Scoprendo che le madri troppo prosperose e l’incitamento popolare al bambino roseo e paffuto non sono poi quei segni di ottima salute e di una migliore vita futura che si erano sempre pensati.

Nei vari centri di ricerca coordinati dalla Leipzig University sono stati analizzati 51.505 bambini nella loro età infantile (0-14 anni) e adolescenziale (15-18 anni), osservando che il periodo da tenere in particolare considerazione, onde non debordare dai valori normali del BMI (indice di massa corporea) (1), è quello tra i 2 e i 6 anni. In questo preciso lasso di tempo, nel quale il BMI dovrebbe normalmente oscillare tra 15 e 16, si verificano infatti, secondo quegli studiosi, certi reconditi cambiamenti nel metabolismo dei grassi dai quali dipendono le successive performances. In particolare, i bimbi che in quell’età “critica” sono obesi o sovrappeso spesso si ritrovano tali anche nell’adolescenza. Non solo, ma pure quelli che nascono corpulenti, oltre i 4 kg, peso considerato nella vox populi come un vanto gestazionale, se non addirittura del concepimento, onde coinvolgere pure l’orgoglio maschile, pregiudicano sia il peso giovanile che quello dell’età adulta. Nel senso che questi maggiorati alla nascita tenderanno all’obesità per tutta la vita. E perfino le madri, che in gravidanza occupano tutto il pre-maman e non stanno molto attente alla dieta perché quella stessa vox populi ammonisce che un desiderio non soddisfatto può tradursi in difetti del nascituro (il polipo di Agna o la “voglia di coca-cola” sulla fronte di Gorbaciov), favoriscono esse stesse la produzione dei ciccio-bomba. Infine, si è documentato che la probabilità che un putto obeso rientri nella normalità durante la successiva adolescenza è meno del 20%, valore che decresce ulteriormente negli anni successivi.

Sono risultati che hanno sorpreso molti medici, specie quelli che erano rimasti legati alla cosiddetta “ipotesi di Barker”, formulata nel 1994 da quel ricercatore dell’Università di Southampton, secondo la quale sono invece coloro che nascono sottopeso ad aumentare il rischio di divenire diabetici e cardiopatici. Ma in quella ricerca non era stato considerato il fattore peso, che secondo l’attuale rivalutazione tedesca è da considerare il parametro più importante, da tenere sotto controllo fin dalla gravidanza della madre e soprattutto nei primi anni di vita. Vi si cita anche uno studio pubblicato nel 2007 sulla rivista Stroke, nel quale il gruppo della dottoressa Heather Johnson dell’Università del Wisconsin afferma che, sulla base di un loro studio epidemiologico, la prima fanciullezza è un periodo critico nello sviluppo  di future lesioni arteriose. Poiché proprio il BMI aumentato nell’età dei 4 anni (sic!) avrebbe una correlazione con l’ispessimento delle carotidi dell’uomo fra i 60 e i 64 anni, ossia con un’incipiente arteriosclerosi.

Forse, con tutte queste sofisticazioni, gli esegeti ci stanno allarmando un po’ troppo, quasi entrando nella fantascienza, che turba soprattutto i sonni dei nordamericani attuali. I quali, dopo la liberalizzazione dei loro fast-food ipercalorici e la disattenzione agli studi che gli inchioderebbero a cambiare dieta anziché ingoiare 80 mg di statine/die, si ritrovano a lasciare invendute le taglie normali del vestiario e ad impegnare di più la loro sanità. Un problema però che da tempo ha attraversato gli oceani e coinvolto anche l’Europa e l’Asia. Da noi, in Italia, lo documentano, oltre la spesa sanitaria, le video-registrazioni TV sulle spiagge di pance e glutei alla ricerca di prosciugarsi al sole. Ma anche quelle sui politici, incalzati per strada o nelle loro aule dai paparazzi che si soffermano volentieri sui bottoni delle giacche sotto la tensione dell’epa, immagine peraltro disinvoltamente affrontata proprio dalla tedesca frau Merkel. Per tutti loro comunque la ricerca lipsiana risulta oramai ininfluente, ma per le nuove progenie e per i futuri costi sanitari delle malattie cardiovascolari e delle relative inabilità meritano di certo una maggiore attenzione sia i presupposti che le conseguenze dei paffutelli.

(1) L’aumento moderato del peso, detto sovrappeso, e la franca obesità sono calcolati in medicina con due indici: quello di massa corporea (BMI o body massa index) e il WHR (waist to hip ratio) o rapporto fra circonferenza ombelicale e quella dei fianchi. Il primo si calcola moltiplicando l’altezza del soggetto per sé stessa e poi dividendo il peso a nudo con quel prodotto. Il risultato sotto i 25 è normale, tra 25 e 30 indica sovrappeso, oltre i 30 obesità. Il secondo indice viene misurato in centimetri nel suddetto rapporto e non deve essere superiore a 1.0, meglio se 0.90, nel maschio, e rispettivamente 0.85 e 0.80 nella femmina.

Eligio Piccolo
Cardiologo