Terminiamo la rassegna dei farmaci per il cuore che ci sono venuti dalle piante, con l’aspirina. La sua storia, lunga e affascinante è, con ogni probabilità lontana dalla conclusione perché è da poco iniziato un nuovo capitolo che permette ampi sviluppi. Ippocrate prescriveva decotti di foglie di salice contro il dolore e la febbre, ma l’uso è sicuramente precedente e viene in seguito ritrovato nella medicina empirica dei popoli di ogni parte del mondo. Nel 1763 un parroco dell’Oxfordshire, il reverendo Edward McStone, scrisse al presidente della RoyalSociety of Medicine: “c’è un albero in Inghilterra la cui corteccia, come ho scoperto per esperienza, è un forte astringente, molto efficace nella cura delle malattie caratterizzate da febbri intermittenti”. Nel 1876 lo scozzese Mac Lagan e il berlinese Stricker, l’uno all’insaputa dell’altro, scoprirono l’efficacia della salicina nella malattia reumatica acuta. L’aspirina che noi usiamo, acido acelitsalicilico o più brevemente Asa, è stata sintetizzata per la prima volta, senza avvedersene, nel 1853 dal chimico alsaziano Gerhard. La scoperta non gli dette fama e non gli evitò neppure di essere cacciato dall’università di Parigi. Gerhard, uomo di grandissimo talento, creatore con Laurent della teoria atomica, aveva criticato i più autorevoli chimici del suo tempo, Berzelius, Liebig e Dumas. Dumas, divenuto ministro del principe Luigi Napoleone, si vendicò e l’ostracismo durò fino al 1855, l’anno prima della sua morte. In precedenza, nel 1829, il farmacista francese Leroux aveva individuato il principio attivo, la salicina, precursore dell’acido salicilico. Lo svizzero Pagenstrecher, per distillazione, aveva isolato dai fiori della spireaca ulmaria, la “regina dei prati”, l’aldeide salicilica, un altro precursore dal quale Lövig, per ossidazione, produsse anch’egli acido salicilico. Molti ricercatori di tutto il mondo, verso la metà del secolo scorso, partendo da piante usate empiricamente contro febbri, dolori e infiammazioni giunsero alla scoperta dell’acido salicilico al punto che riesce difficile ricostruire la cronologia.
Per arrivare all’aspirina occorsero tuttavia quarant’anni di tentativi. La sintesi riuscì a due ricercatori della Bayer, Eichengrün e Hoffman che ricavarono dalla loro scoperta solo delusioni. Il professor Dreser, la massima autorità della farmacologia tedesca, dichiarò infatti che il loro composto era privo di qualunque utilità terapeutica. Hoffman si rassegnò, non così Eichengrün che seguitò a sperimentare il farmaco su sé stesso, su familiari e su amici disponibili. Per essere certo dell’innocuità ne prese fino a cinque grammi al giorno. Dalle prove fatte sui pazienti di un amico dentista ricavò la certezza che almeno un’azione la possedeva, quella di alleviare i dolori. La sua tenacia ebbe la meglio e finalmente anche il dispotico Dreser si convinse dell’utilità del farmaco e nel 1899, senza neppure menzionare Hoffman e Eichengrün, pubblicò il fondamentale lavoro sull’acido acetilsalicilico descrivendone l’azione antalgica ed antipiretica, gli effetti tossici, nonché le presunte proprietà antisettiche. Dopo pochi decenni nel mondo se ne consumavano più di diecimila tonnellate l’anno come rimedio contro il raffreddore, l’influenza, la febbre, i dolori. Oggi, nei soli Stati Uniti ne vengono vendute ogni anno più di sedicimila tonnellate. Fin dal 1833 il francese Palette aveva dimostrato che i salicilati potevano favorire le emorragie, ma nessuno aveva attribuito alcuna importanza alla cosa. Si dovette arrivare al 1955 perché gli ematologi rilevassero che l’aspirina allunga il tempo di sanguinamento prospettandone l’impiego nella prevenzione delle trombosi. Nel 1972 un medico statunitense, Lee Wood scisse su Lancet che una compressa di aspirina riduceva il rischio di trombosi arteriosa e ne raccomandò l’uso a tutti gli uomini con pià di vent’anni e a tutte le donne con più di quaranta per prevenire gli attacchi cardiaci. Le ricerche cliniche presero avvio solo dieci anni più tardi, quando Evans, Weiss e Aledort scoprirono che l’aspirina era capace di inibire l’aggregazione delle piastrine indotte dal collagene. Da quel momento gli studi divennero molto intensi e, prima ancora che i grandi trias giungessero a termine, l’aspirina entrò nella terapia cardiologia. Nel 1971 Vane compì il primo passo per spiegare il meccanismo d’azione dimostrando che l’aspirina interferisce sulla sintesi delle prostaglandine in diversi tessuti: attraverso l’acetilazione della ciclossigenasi delle piastrine inibisce la formazione del trombossano A2, potente aggregante piastrinico e vasocostrittore arteriolare. Inibiva però anche la ciclossigenasi delle pareti arteriose bloccando la formazione della prostaciclina che è un potente antiaggregante piastrinico e vasodilatatore.
La normalità della bilancia coagulativa del sangue dipende grandemente dall’equilibrio fra le azioni antagoniste di queste due prostaglandine. Per ridurre il rischio trombotico deve essere esaltata il più possibile l’azione della prostaciclina e contemporaneamente ridotta quella sfavorevole del trombossano. Questo effetto viene ottenuto con l’aspirina che ha un’azione inibente sulla formazione di trombossano assai duratura, mentre quella sulla prostaciclina è minore e di breve durata. I risultati positivi ottenuti nella prevenzione dell’occlusione dei by pass indussero ad estenderne l’uso all’infarto miocardio, all’angina instabile, nonché alle vasculopatie cerebrali e periferiche. Non in tutte queste applicazioni la sua utilità è risultata altrettanto evidente, ma i vantaggi dell’impiego dell’aspirina nelle malattie coronariche, prima e dopo l’attacco, si sono affermati. Oggi viene impiegata come antiaggregante piastrinico e come preventivo della trombosi assai più che come analgesico e antiflogistico. Molti studi tuttora in corso inducono inoltre a pensare che la sua storia sia lungi dalla conclusione. Ricercatori americani hanno segnalato la capacità dell’acido acetilsalicilico a inibire le metastasi di alcuni tumori sperimentali. Sarebbe stupefacente che un farmaco estratto dal salice bianco al tempo delle palafitte, entrato nell’uso con la dottrina delle “segnature” che risale a Dioscoride e Plinio e si sviluppò con Paracelo, si rivelasse efficace contro le principali malattie della nostra epoca.