Antiaritmici di Classe IC: è possibile estendere le indicazioni terapeutiche oltre le linee guida?
di F. Brandimarte intervista Riccardo Cappato
21 Ottobre 2022

Brandimarte: Dott. Cappato quali sono i farmaci antiaritmici di classe IC e come agiscono?

Cappato: I principali farmaci che appartengono a questa classe sono la Flecainide e Il Propafenone, oltre a farmaci come l’Encainide e la Moricizina, attualmente in disuso principalmente a causa della loro debole efficacia associata allo scarso profilo di sicurezza evidenziato negli studi CAST e CAST II. I farmaci antiaritmici di classe IC bloccano i canali rapidi del sodio in maniera voltaggio e frequenza dipendente, determinando in tal modo una riduzione della pendenza della fase 0 del potenziale d’azione monofasico delle cellule miocardiche. Questa azione ha come risultato un rallentamento della conduzione dell’impulso attraverso il sistema His-Purkinje e le cellule del miocardio comune. Questa classe di farmaci, inoltre, espleta la propria azione antiaritmica attraverso altri meccanismi d’azione: 1. inibizione dell’apertura dei canali del potassio (in particolare la componente rapida della corrente rettificante IKr delle cellule del miocardio atriale e ventricolare), determinando in tale modo un aumento della durata del potenziale d’azione monofasico (flecainide e propafenone). 2. blocco dell’apertura del recettore della rianodina, riducendo in tal modo il rilascio spontaneo di calcio intracellulare dal reticolo sarcoplasmatico (flecainide); questo meccanismo giustifica l’impiego di questo farmaco nella profilassi antiaritmica nei pazienti con tachicardia ventricolare polimorfica catecolaminergica (malattia ereditaria secondaria a mutazioni del gene codificante la rianodina o del gene per la calsequestrina). 3. azione beta bloccante (propafenone), grazie alle caratteristiche biochimiche della propria molecola che risultano essere comuni ad alcuni farmaci della classe beta-bloccante. I farmaci antiaritmici di classe IC esercitano, inoltre, un effetto inotropo negativo secondario alla riduzione dell’ingresso del Na+ e la conseguente riduzione dell’ingresso di Ca2+ attraverso il trasporto sodio-calcio nelle cellule miocardiche. Infine, questi farmaci esercitano un importante impatto sulle caratteristiche elettrofisiologiche degli intervalli di conduzione atrio-ventricolare: l’intervallo AH può aumentare del 15%-22%, l’intervallo HV del 25%-50%; anche l’intervallo QT può avere un incremento di circa l’8%, ma è principalmente dovuto all’aumento della durata del QRS determinato dal farmaco.

Brandimarte: Quali sono le attuali indicazioni degli antiaritmici di classe IC nella fibrillazione atriale?

Cappato: Attualmente gli antiaritmici di classe IC vengono utilizzati principalmente per la cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale persistente o parossistica. Il ripristino del ritmo sinusale è mediato dalla capacità di questi farmaci di rallentare la conduzione intra-atriale ed aumentare la refrattarietà delle cellule miocardiche, così da determinare l’interruzione dei molteplici circuiti che si formano nell’atrio fibrillante. Sia flecainide che propafenone si sono dimostrarti più veloci nel ripristinare il ritmo sinusale rispetto all’amiodarone. In accordo con queste evidenze le linee guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano la Flecainide, il Propafenone come farmaci di prima scelta nel tentativo di cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A). Gli antiaritmici di classe IC sono ampiamente utilizzati anche nella strategia del controllo del ritmo in pazienti con fibrillazione atriale parossistica e/o persistente sintomatica, senza cardiopatia strutturale, come consigliato nelle ultime linee guida della società europea di cardiologia (classe I, livello di evidenza A). Quest’azione non può essere spiegata dall’inibizione stato-dipendente dei canali del sodio da parte di questi farmaci. Il mantenimento del ritmo sinusale potrebbe, invece, essere determinato dall’inibizione delle correnti del potassio e, indirettamente, dalla riduzione dell’ingresso del calcio all’interno delle cellule miocardiche. La metanalisi del Cochrane Database del 2015 mostra come la flecainide in terapia cronica sia maggiormente efficace rispetto al placebo nel mantenimento del ritmo sinusale e tale efficacia sia secondaria solamente alla terapia con Amiodarone. Lo studio Pitagora del 2014 è uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato, in singolo cieco che ha confrontato Amiodarone e antiaritmici di classe IC nel mantenimento del ritmo sinusale. Solo la Flecainide ha dimostrato di non essere inferiore all’Amiodarone nel prevenire le recidive aritmiche.

Brandimarte: Questi farmaci hanno un ruolo anche nel trattamento delle aritmie ventricolari?

Cappato: Fatta eccezione per i beta bloccanti, non vi sono studi randomizzati e controllati che documentino la capacità degli antiaritmici di migliorare la prognosi quando usati nella prevenzione primaria o secondaria della morte cardiaca improvvisa. Tuttavia, gli antiaritmici svolgono un ruolo fondamentale nella terapia delle tachicardie ventricolari idiopatiche per il controllo dei sintomi e/o per la riduzione del “burden” aritmico. Il trattamento della tachicardia ventricolare e dei battiti ectopici ventricolari ha rappresentato la prima storica indicazione clinica per la Flecainide. Successivamente alla pubblicazione dei risultati dello studio CAST, l’uso della Flecainide e per estensione degli altri antiaritmici di classe IC ha avuto un importante ridimensionamento. Attualmente, gli antiaritmici di classe IC possono essere utilizzati nella terapia delle tachicardie ventricolari e/o battiti ectopici ventricolari sintomatici unicamente in pazienti senza cardiopatia strutturale.

Brandimarte: Esistono ulteriori indicazioni per questa classe di antiaritmici?

Cappato: Gli antiaritmici di classe IC possono essere utilizzati con successo nella sindrome da pre-eccitazione ventricolare (WPW) in cui determinano un prolungamento della refrattarietà della via accessoria fino al blocco della conduzione (anterogrado nel 40%, retrogrado nel 50% dei casi),  per l’interruzione in acuto della tachicardia da rientro atrio-ventricolare e nella profilassi a lungo termine della stessa con tassi di successo rispettivamente del 72% e 70%, in acuto e nella profilassi della tachicardia da rientro nodale (tasso d’efficacia rispettivamente del 83% e 78%), nelle tachicardie atriali focali con un’efficacia del 86% in acuto e del 95% a lungo termine, nella tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica dove la flecainide svolge un importante ruolo in associazione ai beta-bloccanti nel ridurre le recidive di aritmia ventricolari indotta dall’esercizio e gli interventi del defibrillatore, nella sindrome del QT lungo tipo 3 dove in modo simile alla mexiletinainibisce sia la componente rapida che la componente lenta del canale del sodio ed infine nella sindrome di Andersen-Tawil, malattia rara caratterizzata da una triade composta da aritmie, tra cui tachicardia ventricolare bidirezionale e polimorfa, dismorfismi e periodiche paralisi.

Brandimarte: Quali sono le evidenze nell’utilizzo di questi farmaci nella cardiopatia ischemica cronica?

Cappato: L’iniziale entusiasmo creatosi in seguito ai buoni risultati dei primi studi condotti con i farmaci antiaritmici di classe IC nella terapia delle tachicardie ventricolari ha condotto all’esigenza di voler testare questa classe di farmaci nella terapia delle tachicardie ventricolari nel periodo post-infartuale. Nel 1989 sono stati pubblicati i dati preliminari dello studio CAST. In questo studio, 1498 pazienti con pregresso infarto del miocardio da 6 giorni a 2 anni prima dell’arruolamento e frazione di eiezione ≤ 0,55, almeno 6 extrasistoli ventricolari all’ora e nessun episodio di tachicardia ventricolare ≥ 15 battiti o con frequenza superiori a 120 bpm sono stati randomizzati al trattamento con antiaritmici di classe I (inclusa la flecainide) o placebo. Lo studio è stato interrotto anticipatamente a causa dell’elevata mortalità nei pazienti trattati con antiaritmici di classe IC. L’aumentata mortalità è stata attribuita primariamente al maggior numero di morti secondarie ad aritmie ventricolari. Sulla base di queste evidenze l’uso della flecainide e per estensione degli altri antiaritmici è stato fortemente sconsigliato in pazienti affetti da cardiopatia ischemica con o senza disfunzione ventricolare sinistra. Tali risultati sono poi stati prudenzialmente estesi a tutti i pazienti con cardiopatia strutturale. Pertanto, nelle attuali linee guida si raccomanda l’uso di questi farmaci nella terapia della fibrillazione atriale e delle tachicardie ventricolari unicamente in pazienti senza cardiopatia ischemica e/o ridotta frazione d’eiezione del ventricolo sinistro. Si è ipotizzato che l’aumento delle aritmie ventricolari indotto da questi farmaci nei pazienti con pregresso infarto sia determinato dalla presenza di cicatrici all’interno del muscolo miocardico che possono promuovere l’azione proarimtica di questi farmaci. I farmaci di classe IC, infatti, mediante il blocco dei canali del sodio e il successivo rallentamento della conduzione possono portare, in questi pazienti, ad una conduzione eterogenea dell’impulso e conseguentemente alla formazione di circuiti di rientro. Tuttavia, in una sottoanalisi dello studio CAST, i pazienti con infarto non-Q e angina hanno mostrato aumentata mortalità, suggerendo che l’effetto proaritmico di questi farmaci sia determinato dall’interazione tra farmaco e ischemia. E’ bene ricordare però che lo studio CAST è stato sviluppato in epoca pre-rivascolarizzazione coronarica. La maggior-parte dei pazienti, quindi, non è stata sottoposta rivascolarizzazione completa della lesione colpevole; procedura che potenzialmente riduce sia gli eventi pro-aritmici post infarto che la mortalità a lungo termine. Di conseguenza, i pazienti con malattia coronarica stabile, funzione sistolica del ventricolo sinistro preservata, nessun precedente infarto miocardico, né evidenza di ischemia inducibile rappresentano un’area grigia in cui l’assoluta scarsità di evidenze scientifiche limita l’uso degli AA IC in modo non convincentemente supportato dai dati. Fortunatamente negli ultimi anni si è osservato un rinnovato interesse relativamente all’impiego degli antiaritmici di classe IC nei pazienti con malattia coronarica stabile, in assenza di cicatrice e/o ischemia miocardica.I risultati di questi studi, seppur con numerose limitazioni determinate dalla loro natura osservazionale e retrospettiva, suggeriscono la possibilità di utilizzare questi farmaci in pazienti affetti da malattia coronarica cronica ma senza malattia miocardica secondaria a pregresso infarto, o ischemia residua. Questi risultati pongono le basi per progettare futuri studi prospettici e randomizzati al fine di valutare la sicurezza degli antiaritmici di classe IC in questo specifico sottogruppo di pazienti.

Brandimarte: E nei pazienti con cardiopatia strutturale non ischemica?

Cappato: Le attuali linee guida, nonostante le limitate evidenze scientifiche, hanno prudentemente esteso i risultati dello studio CAST ai pazienti con cardiopatia strutturale ad etiologia non ischemica. Inoltre, la loro azione inotropa negativa determinata sia da una riduzione indiretta del calcio intracellulare che dall’azione antagonista sui recettori beta adrenergici (propafenone), rende l’utilizzo degli antiaritmici di classe IC sconsigliato nei pazienti con ridotta frazione d’eiezione. Studi recenti però hanno mostrato risultati incoraggianti sull’utilizzo di questi farmaci in pazienti con cardiopatia strutturale non ischemica come, ad esempio, nella tachicardiomipatia indotta da extrasistolia ventricolare frequente in cui hanno mostrato, capacità di sopprimere l’extrasistolia ventricolare, determinando il recupero della frazione di eiezione. Inoltre, nei pazienti con cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, portatori di defibrillatore impiantabile e in terapia antiaritmica con beta bloccante, l’aggiunta di flecainide si è dimostrata efficace nella gestione delle aritmie ventricolari ricorrenti. Infine, anche in pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva la flecainide ha dimostrato maggiore efficacia rispetto alla disopiramide nel ridurre sia il gradiente a livello del tratto d’efflusso ventricolare sinistro, che il numero degli episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta.

Brandimarte: Concludendo è possibile auspicare un allargamento delle indicazioni per questi farmaci in un prossimo futuro?

Cappato: Gli antiaritmici di classe IC rappresentano ad oggi un caposaldo nella terapia della fibrillazione atriale e rappresentano un valido strumento nella terapia delle tachicardie ventricolari. Il loro impiego è attualmente riservato a categorie molto selettive di pazienti, ma recenti osservazioni aprono nuove prospettive di impiego in pazienti precedentemente ignorate. Studi in corso e futuri contribuiranno a chiarire i punti ancora non chiariti.

Brandimarte: Grazie Dott. Cappato per l’approfondimento.