Antagonisti del fattore XIa come nuovi farmaci anticoagulanti orali per la Fibrillazione Atriale: i risultati dello studio OCEANIC-AF
di Lorenzo Scalia
03 Settembre 2024

La disponibilità dei farmaci anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC) ha migliorato sensibilmente la prevenzione dell’ictus e degli eventi tromboembolici, che comportano un alto rischio di disabilità permanente e morte, nei pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA), rispetto agli agenti antagonisti della vitamina K. Nonostante il loro amplio utilizzo ed indicazioni terapeutiche, molti pazienti non vengono anticoagulati a causa del rischio di sanguinamento previsto o del verificarsi di effettivi eventi emorragici.

Il ruolo marginale giocato dal FXI nell’emostasi ha incentivato il tentativo farmacologico di scindere questo processo dalla trombosi attraverso l’inibizione di tale fattore. Questo razionale ha condotto, dunque, allo sviluppo ed all’identificazione di composti in grado di inibire questa molecola, tra cui l’Asundexian. Tuttavia, rimane la questione dell’efficacia, che deve essere ancora dimostrata.1

Lo studio OCEANIC-AF, presentato al congresso dell’European Society of Cardiology 2024 e pubblicato simultaneamente su NEJM, è stato un trial randomizzato in doppio cieco condotto su pazienti con FA ad elevato rischio ischemico (punteggio CHA2DS2-VASc ≥3 se maschio o ≥4 se femmina, o ≥2 se maschio o ≥3 se femmina con fattori di rischio aggiuntivi).2 I pazienti sono stati randomizzati (1:1) ad asundexian 50 mg una volta al giorno o dosaggio standard con apixaban (5 mg o 2,5 mg due volte al giorno in base ai criteri di riduzione della dose). L’obiettivo primario di efficacia era dimostrare che asundexian era almeno non inferiore ad apixaban per la prevenzione di ictus o embolia sistemica. L’obiettivo di sicurezza era dimostrare invece che asundexian era superiore ad apixaban con meno eventi di sanguinamento maggiore (come definito dall’International Society on Thrombosis and Haemostasis).

Un totale di 14.810 pazienti assegnati in modo casuale è stato incluso nella popolazione intention-to-treat. L’endpoint primario si è verificato in 98 pazienti (1,3%) del braccio asundexian e in 26 (0,4%) pazienti del dataset apixaban (hazard ratio, 3,79; intervallo di confidenza [CI] al 95%, da 2,46 a 5,83). Si è verificato un sanguinamento maggiore in 17 pazienti (0,2%) che hanno ricevuto asundexian e in 53 (0,7%) che hanno ricevuto apixaban (hazard ratio, 0,32; IC al 95%, da 0,18 a 0,55).

In questo studio di fase 3 condotto su pazienti con fibrillazione atriale, l’inibitore del fattore XIa asundexian ha comportato un aumento del rischio di ictus o tromboembolia sistemica rispetto ad apixaban; mentre il rischio di sanguinamenti maggiori è risultato essere inferiore. Questa differenza di rischio è diventata subito evidente tra i due bracci prima di 30 giorni, spingendo alla conclusione anticipata dello studio dopo un periodo di follow-up mediano inferiore a 6 mesi.

Non è chiaro se i risultati attuali riflettano un’attività farmacodinamica inadeguata alla dose studiata o, più in generale, se l’inibizione del fattore XIa sia un’alternativa ragionevole alle attuali opzioni anticoagulanti orali per la fibrillazione atriale. Data la ridotta incidenza di eventi emorragici sia cardio-embolici che non traumatici osservati in individui con deficit del fattore XI, restano necessarie ulteriori indagini su nuove terapie che agiscono su questo percorso.

Bibliografia:

  • Antonio Greco, Claudio Laudani, Lorenzo Scalia, Davide Capodanno, et. Al. Pharmacology and Clinical Development of Factor XI Inhibitors, Circulation. 2023 Mar 14;147(11):897-913
  • Jonathan P. Piccini, Manesh R. Patel,  Jan Steffel, et. Al. for the OCEANIC-AF Steering Committee and Investigator Asundexian versus Apixaban in Patients with Atrial Fibrillation, Asundexian versus Apixaban in Patients with Atrial Fibrillation, NEJM. 2024 Sept 10.1056/NEJMoa2407105