L’ablazione transcatetere della FA ha dimostrato un’efficacia superiore rispetto alla terapia farmacologica nel mantenimento del ritmo sinusale. L’effetto dell’ablazione sul rischio tromboembolico a lungo termine è invece ancora incerto e pertanto le attuali linee guida raccomandano la prosecuzione della terapia anticoagulante orale nei pazienti considerati a rischio significativo di tromboembolismo, sebbene studi di registro e di coorte abbiano segnalato un rischio tromboembolico inferiore dopo ablazione. Tali risultati devono però essere interpretati con cautela a causa delle limitazioni intrinseche degli studi e i benefici e i rischi di una terapia anticoagulante orale prolungata (in particolare per quanto riguarda la prevenzione dell’ictus ischemico rispetto al rischio di sanguinamento) devono essere perciò ancora valutati in studi clinici randomizzati, peraltro in corso.
Il primo di questi studi randomizzati essere pubblicato è l’ALONE-AF (Anticoagulation One year after Ablation of Atrial Fibrillation in Patients with Atrial Fibrillation), (1) studio condotto in Corea del Sud e progettato per valutare se l’interruzione della terapia anticoagulante orale è in grado di comportare un minor numero di eventi avversi (tra cui ictus, embolia sistemica e sanguinamento maggiore) rispetto al proseguimento della terapia anticoagulante in pazienti senza recidiva di FA (definita come qualsiasi episodio documentato, di durata pari o superiore a 30 secondi, di FA, flutter atriale o tachicardia atriale) accertata per almeno 1 anno dopo l’ablazione.
L’outcome primario dello studio era la prima occorrenza di un evento composito di ictus, embolia sistemica e sanguinamento maggiore a 2 anni. Gli outcomes secondari erano le singole componenti dell’esito primario, il sanguinamento non maggiore clinicamente rilevante, la mortalità per tutte le cause, l’infarto miocardico, l’attacco ischemico transitorio e l’ospedalizzazione per qualsiasi causa.
Tra il 2020 e il 2023, sono stati randomizzati 840 pazienti; l’età media era di 64 anni, il 24,9% erano donne e il 67,6% presentava FA parossistica. Il punteggio medio CHA2DS2-VASc era 2,1 e il punteggio medio HAS-BLED era 1,8. Tra gli 840 pazienti, 247 (29,4%) avevano un punteggio CHA2DS2-VASc inferiore a 2, 337 (40,1%) avevano un punteggio di 2, 166 (19,8%) avevano un punteggio di 3 e 90 (10,7%) avevano un punteggio uguale o superiore a 4. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a monitoraggio ECG di routine a ogni visita di follow-up e a monitoraggio Holter di 24-72 ore almeno ogni 6 mesi. Un ulteriore monitoraggio Holter, l’uso di un registratore di eventi o di un dispositivo ECG indossabile sono stati raccomandati qualora i pazienti riportassero sintomi suggestivi di recidiva di aritmia. In caso di assenza di recidive i partecipanti sono stati randomizzati 1:1 a interrompere la terapia anticoagulante orale o a proseguirla (5 mg di apixaban due volte al giorno o 20 mg di rivaroxaban una volta al giorno). In presenza di recidiva confermata di aritmia atriale o di nuova ablazione della FA durante lo studio, i soggetti venivano esclusi al momento dell’evento e la terapia anticoagulante veniva ripresa in base al rischio tromboembolico.
A 2 anni, l’outcome primario si è verificato in 1 su 417 pazienti (0,3%) nel gruppo senza anticoagulante orale rispetto a 8 su 423 pazienti (2,2%) nel gruppo con anticoagulante orale (differenza assoluta, -1,9 punti percentuali [95% CI, -3,5 a -0,3]; log-rank P = 0,02). L’incidenza cumulativa a 2 anni di ictus ischemico o embolia sistemica era dello 0,3% nel gruppo senza anticoagulante orale rispetto allo 0,8% nel gruppo con anticoagulante orale (differenza assoluta, -0,5 punti percentuali [95% CI, da -1,6 a 0,6]; Un attacco ischemico transitorio si è verificato in 2 pazienti (0,6%) nel gruppo senza anticoagulante orale vs 0 pazienti nel gruppo con anticoagulante orale (differenza assoluta, 0,6 punti percentuali [95%CI, -0,2 a 1,3]). L’incidenza cumulativa di un sanguinamento maggiore è stata stimata allo 0% nel gruppo senza anticoagulante orale vs 1,4% (n = 5) nel gruppo con anticoagulante (differenza assoluta, -1,4 punti percentuali [95%CI, -2,6 a -0,2]; un sanguinamento non maggiore clinicamente rilevante si è verificato in 5 pazienti (1,4%) nel gruppo senza anticoagulante orale vs 7 pazienti (1,9%) nel gruppo anticoagulante orale. Non sono stati segnalati casi di mortalità per tutte le cause o infarto del miocardio in nessuno dei due gruppi.
In questo studio dunque il rischio dell’outcome primario di ictus, embolia sistemica e sanguinamento maggiore in pazienti senza recidiva di FA documentata un anno dopo l’ablazione, è risultato inferiore nei soggetti che interrompevano la terapia anticoagulante rispetto a coloro che la proseguivano. Questo risultato deriva principalmente dalla riduzione degli eventi emorragici maggiori, mentre l’incidenza di complicanze ischemiche è risultata comparabile tra i gruppi.
Possiamo quindi consigliare la sospensione dell’anticoagulante nei pazienti che sono liberi da recidive aritmiche dopo ablazione?
La risposta è estremamente difficile e non disponiamo ancora, anche dopo la pubblicazione dell’ALONE AF, dei dati sufficienti per fornirla. Il beneficio netto di tale terapia dipende infatti da molteplici fattori tra i quali prevalgono il rischio tromboembolico di base, il burden di fibrillazione atriale ed il rischio emorragico. La risposta verrà probabilmente da una strategia di precision medicine che tenga conto di questi aspetti e li integri tra loro.
Innanzitutto bisogna ricordare che l’ablazione della FA è spesso non risolutiva. Nell’ALONE AF il monitoraggio Holter da 1 a 3 giorni ogni 6 mesi, integrato da valutazioni basate sui sintomi, ha infatti identificato una recidiva di FA in circa il 10% dei partecipanti a una mediana di 1 anno dopo la randomizzazione. Un altro studio (2) che ha seguito i pazienti per 10 anni dopo l’ablazione della FA, ha messo in evidenza che coloro che inizialmente erano liberi da aritmie atriali a 12 mesi dall’ablazione presentavano un tasso di recidiva di FA del 30% a 10 anni. Quando si prende in considerazione l’interruzione della terapia anticoagulante orale, è quindi importante un monitoraggio regolare del ritmo per rilevare sia la presenza di recidive di FA, data la scarsa correlazione tra queste e i sintomi, sia il loro burden complessivo, visto che gli studi sulla FA subclinica suggeriscono che il rischio tromboembolico non dipende solo dalla presenza o assenza dell’aritmia ma anche dalla sua “quantità”.
Secondo aspetto da tenere sempre a mente è il rischio tromboembolico dei pazienti. Sempre prendendo spunto dai dati dei trials sulla FA subclinica se è vero che NOAH-AFNET6 (Non–VitaminK Antagonist Oral Anticoagulants in Patients with Atrial High Rate Episodes) ed ARTESIA non hanno mostrato chiaro beneficio della terapia anticoagulante è anche vero che un successivo sottostudio prespecificato (3) dello stesso ARTESIA ha dimostrato che i pazienti con un punteggio CHA2DS2-VASc superiore a 4 beneficiavano del trattamento anticoagulante con la riduzione del rischio di ictus ischemico che superava il rischio di sanguinamento. Risultato che si potrebbe speculare come applicabile ai pazienti sottoposti ad ablazione in cui le recidive sono in genere rare e con basso burden. Ad apparente dimostrazione di ciò anche nei pochi pazienti dell’ALONE AF (circa 10%) con punteggio CHA2DS2-VASc ≥4, la differenza dell’outcome composito primario tra i due gruppi non è risultata significativa.
In attesa quindi di ulteriori evidenze per i pazienti ad alto rischio di ictus (punteggio CHA2DS2-VASc >3 o precedente ictus), sembra raccomandabile di continuare la terapia anticoagulante mentre per gli altri l’eventuale interruzione della terapia deve essere sempre preceduta da una valutazione estremamente accurata della presenza e del burden delle recidive oltre che del rischio emorragico del singolo paziente.
Bibliografia:
- Kim D, Shim J, Choi EK et al. Long-term anticoagulation discontinuation after catheter ablation for atrial fibrillation. The ALONE-AF randomized clinical trial. JAMA, doi: 10.1001/jama.2025.14679.
- Steinberg JS, Palekar R, Sichrovsky T et al. Very long-term outcome after initially successful catheter ablation of atrial fibrillation. Heart Rhythm 2014; 11: 771-776.
- Lopes RD, Granger CB, Wojdyla DM et al. Apixaban vs aspirin according to CHA2DS-VASc score in subclinical atrial fibrillation: insights from ARTESIA. J AM Coll Cardiol 2024; 84: 354-364.