A volte ritornano
Gli inibitori endovenosi della glicoproteina IIb/IIIa (GPI) sono stati relegati negli ultimi anni ad un ruolo di nicchia nel contesto della terapia cardiologica. Uno studio recentemente presentato all’annuale convegno dell’American Heart Association e contestualmente pubblicato su New England Journal of Medicine Evidence (1), sembra però prospettare una loro possibile “rinascita”.
Nello studio CELEBRATE, infatti, un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa (GPI), somministrato per via sottocutanea prima dell’arrivo in ospedale di un paziente affetto da infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), ha migliorato i principali esiti cardiovascolari rispetto al placebo. Nello studio in pazienti con presunto STEMI e sintomi da meno di 4 ore, un’iniezione sottocutanea di zalunfiban al primo contatto medico (a casa, in ambulanza o in ospedale), ha migliorato significativamente la pervietà del vaso correlato all’infarto prima dell’intervento coronarico percutaneo (PCI), riducendo significativamente la probabilità degli endpoints di efficacia avversi e migliorando del 41% la percentuale di assenza degli endpoints avversi. Tutto ciò senza aumentare significativamente i sanguinamenti gravi o potenzialmente letali.
Zalunfiban è un antagonista recettoriale a piccola molecola che inibisce circa il 90% della funzione piastrinica entro 15 minuti, ben integrandosi dunque con l’insorgenza ritardata degli effetti antiaggreganti degli inibitori del P2Y12. Il farmaco ha un’emivita di circa un’ora e pertanto il ripristino della funzione piastrinica si verifica in circa 2 ore, il che consente un eventuale intervento di bypass aorto-coronarico in urgenza. La clearance della molecola, infine, non dipende dalla funzionalità renale.
Il CELEBRATE, studio internazionale in doppio cieco, ha arruolato 1671 pazienti trattati con una singola iniezione sottocutanea di zalunfiban di 0,11 mg/kg (n = 853) o di 0,13 mg/kg (n = 818), raggruppati in un unico gruppo per l’analisi gerarchica degli esiti e 796 pazienti trattati con placebo. Circa l’87% dei pazienti trattati ha ricevuto l’iniezione di zalunfiban a casa o in ambulanza durante il trasporto in ospedale, e il 95% dei pazienti di entrambi i gruppi ha ricevuto aspirina, eparina e un bloccante P2Y12, principalmente il ticagrelor.
L’endpoint primario di efficacia era un modello di probabilità proporzionale gerarchica che classificava sette endpoint dal peggiore al migliore: morte per tutte le cause, ictus, infarto miocardico ricorrente, trombosi acuta dello stent, nuova insorgenza o riospedalizzazione per scompenso cardiaco, maggiore estensione dell’infarto o nessun endpoint entro 30 giorni. L’endpoint primario di sicurezza era l’insorgenza di sanguinamento grave o potenzialmente letale, secondo i criteri GUSTO.
I pazienti trattati con zalunfiban hanno avuto un rischio inferiore del 21% di incorrere nell’endpoint primario di efficacia (odds ratio aggiustato 0,79; intervallo di confidenza al 95%, 0,65-0,98; P=0,028). Nel complesso, il 13,3% del gruppo zalunfiban e il 9,8% del gruppo placebo non hanno avuto alcun evento cardiovascolare (P = 0,16), con quindi un beneficio in coloro che hanno ricevuto il farmaco del 41% rispetto al placebo e con un numero necessario di pazienti da trattare pari a 29. Nell’analisi gerarchica, il rischio di trombosi acuta dello stent entro 24 ore dalla PCI era inferiore dell’82% nel gruppo zalunfiban (P = 0,007) e il rischio di nuova insufficienza cardiaca o riospedalizzazione per insufficienza cardiaca era diminuito del 21%, quantunque questo risultato non fosse significativo (P = 0,17). Il rischio di infarto miocardico ricorrente entro 30 giorni era invece superiore del 65% nel gruppo zalunfiban: 1,9% vs 1,2% (P = 0,23), sebbene anch’esso non significativo. A questo riguardo gli autori hanno però sottolineato i risultati di un’analisi aggiuntiva secondo cui la recidiva d’infarto miocardico era l’unica componente individuale del modello di probabilità proporzionale gerarchica non associata alla mortalità. L’angiografia ha inoltre mostrato un flusso sanguigno coronarico più rapido con zalunfiban rispetto al placebo (conteggio corretto dei fotogrammi dell’arteria correlata all’infarto 109 [intervallo interquartile da 35 a 176] vs. 176 [intervallo interquartile da 40 a 176]; P=0,012).
I tassi di sanguinamento grave o potenzialmente fatale sono risultati simili tra i due gruppi: 1,2% nel gruppo zalunfiban e 0,8% nel gruppo placebo (P = 0,4), mentre quelli di sanguinamento lieve o moderato sono stati significativamente più alti nel primo gruppo, 6,4% contro 2,5% (P < 0,001). Nello studio, comunque, solo il sanguinamento grave era fortemente associato alla mortalità (42,3% contro 1,8% senza sanguinamento; P < 0,001), a differenza di quello lieve o moderato (1,6% contro 1,8%; P = 1). Lo studio è interessante e sorprendente nei risultati se si considera che l’impiego in passato di Abciximab con modalità upstream nel FINESSE-ANGIO non si accompagnava ad un miglioramento della patency-rate.
Tra i limiti dello studio occorre rimarcare la mancata inclusione di pazienti con arresto cardiaco, shock cardiogeno, pregresso ictus, in terapia anticoagulante cronica o in dialisi nonché il fatto che l’80% dei pazienti era costituito da uomini, prevalentemente bianchi ed europei. Manca inoltre un’analisi che suddivida i risultati in base alla dose somministrata.
Il CELEBRATE rappresenta pertanto uno spunto interessante ma serviranno altri lavori per dimostrarne l’utilità ed è al momento prematuro prevedere un cambiamento del paradigma terapeutico. Nel frattempo sarà interessante vedere i dati relativi al follow-up a 1 anno e poi se son rose fioriranno.
Bibliografia:
- Van’t Hof AWJ, Gibson CM, Rikken SAOF et al. for the CELEBRATE trial investigators. Zalunfiban at First Medical Contact for ST-Elevation Myocardial Infarction. Published November 10, 2025 DOI: 10.1056/EVIDoa2500268
- Prati F, Petronio S, Van Boven, Tendera M, De Luca, de Belder, Galassi AR, Imola F, Montalescot G, Peruga JZ, Barnathan ES, Ellis S, Savonitto S FINESSE-ANGIO substudy investigators. Evaluation of infarct-related coronary artery patency and microcirculatory function after facilitated percutaneous primary coronary angioplasty: the FINESSE-ANGIO (Facilitated Intervention With Enhanced Reperfusion Speed to Stop Events-Angiographic) study. JACC Cardiovasc Interv. 2010;3:1284–91. doi: 10.1016/j.jcin.2010.08.023.
