β-bloccanti dopo infarto miocardico senza disfunzione ventricolare: una terapia da ripensare?
di Alessandro Battagliese
03 Settembre 2025

Per oltre quarant’anni i β-bloccanti hanno rappresentato un cardine della terapia post-infarto miocardico acuto (IMA). Le evidenze storiche, maturate negli anni ’70 e ’80, in un’epoca priva di riperfusione sistematica, angioplastica primaria, statine e doppia antiaggregazione, dimostravano una riduzione della mortalità di circa un quarto. Su queste basi le linee guida internazionali hanno a lungo sostenuto la prescrizione di β-bloccanti a tutti i pazienti dopo IMA, indipendentemente dalla funzione ventricolare.

Con l’avvento della cardiologia interventistica moderna e delle terapie farmacologiche di nuova generazione, il quadro clinico è radicalmente cambiato. La mortalità a breve termine si è ridotta, le rivascolarizzazioni sono più complete, il rischio residuo si è spostato verso recidive ischemiche e scompenso a lungo termine. È quindi naturale chiedersi: hanno ancora senso i β-bloccanti di routine nei pazienti con frazione di eiezione preservata?

Al congresso Europeo di Cardiologia sono stati presentati due grandi trial randomizzati europei, pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine, che hanno affrontato questa domanda. Si tratta dello studio REBOOT, condotto in Spagna e Italia, e del trial combinato BETAMI–DANBLOCK, condotto in Norvegia e Danimarca. Entrambi hanno arruolato pazienti con IMA rivascolarizzato e frazione di eiezione ventricolare sinistra ≥40%, ma con alcune differenze sostanziali di popolazione, disegno e outcome.

Lo studio REBOOT

Il REBOOT ha incluso oltre 8.400 pazienti, con STEMI e NSTEMI, tutti sottoposti a coronarografia e la quasi totalità a PCI (93%), con rivascolarizzazione completa nell’88% dei casi. L’età media era 61 anni, le donne erano il 19%. Circa il 12% aveva una frazione di eiezione lievemente ridotta (41–49%), mentre la maggioranza presentava valori normali. I pazienti sono stati randomizzati alla dimissione a ricevere un β-bloccante (prevalentemente bisoprololo) o nessuna terapia β-bloccante. L’endpoint primario era un composito “duro”: morte per tutte le cause, reinfarto, ospedalizzazione per scompenso cardiaco.

Dopo un follow-up mediano di 3,7 anni, i risultati sono stati neutri: 22,5 eventi per 1000 pazienti-anno nel gruppo β-bloccante contro 21,7 nel gruppo controllo, con un hazard ratio di 1,04 (IC 95% 0,89–1,22). Nessuna differenza significativa neppure analizzando separatamente mortalità, reinfarto o scompenso.

Lo studio BETAMI–DANBLOCK

Il BETAMI–DANBLOCK, che ha armonizzato due trial nordici, ha arruolato 5.574 pazienti con IMA recente e FEVS ≥40% (quasi l’85% con frazione di eiezione normale ≥50%). Anche in questo caso la rivascolarizzazione era elevata (94,5%). La randomizzazione avveniva più precocemente (mediana 2 giorni dall’IMA) e la molecola di riferimento era il metoprololo a rilascio prolungato, in genere a dosaggio iniziale di 50 mg.

Qui l’endpoint primario era più ampio e includeva, oltre alla morte, un composito di eventi cardiovascolari maggiori: reinfarto, rivascolarizzazione non programmata, ictus ischemico, scompenso e aritmie ventricolari maligne.

Dopo un follow-up mediano di 3,5 anni, si è osservata una riduzione moderata ma significativa del rischio: 14,2% nel gruppo β-bloccante contro 16,3% nel gruppo controllo (HR 0,85; IC 95% 0,75–0,98; p=0,03). Il beneficio era trainato soprattutto da una riduzione dei reinfarti (5,0% vs 6,7%; HR 0,73), mentre mortalità, scompenso e ictus erano sovrapponibili. Interessante notare come l’effetto fosse più marcato entro i primi 12 mesi (HR 0,80), per poi attenuarsi nel tempo.

Come interpretare le differenze?

Il contrasto tra i risultati di REBOOT (neutro) e BETAMI–DANBLOCK (beneficio moderato) può avere diverse spiegazioni.

  • Endpoint diversi: REBOOT si è concentrato su eventi “hard” (morte, reinfarto, scompenso), mentre BETAMI–DANBLOCK ha incluso anche rivascolarizzazioni non programmate e ictus, ampliando così la sensibilità dell’endpoint.
  • Tempistica e aderenza: la randomizzazione più precoce e l’elevata aderenza alla strategia in BETAMI–DANBLOCK potrebbero aver esaltato l’effetto anti-ischemico iniziale dei β-bloccanti, che storicamente è massimo nei primi mesi post-IMA. In REBOOT, i crossover progressivi nel tempo (fino al 28% dei pazienti nel gruppo controllo che hanno iniziato un β-bloccante) hanno probabilmente attenuato le differenze.
  • Popolazione e farmaco: la prevalenza di pazienti con FEVS lievemente ridotta (41–49%) era maggiore in REBOOT, mentre in BETAMI–DANBLOCK la popolazione era quasi esclusivamente con FEVS normale. Inoltre, le molecole differivano (bisoprololo in REBOOT, metoprololo in BETAMI–DANBLOCK), con possibili differenze di farmacodinamica e aderenza.

Considerazioni

I risultati di questi due trial si inseriscono in un filone di evidenze recenti che già metteva in dubbio il beneficio dei β-bloccanti in questa popolazione:

  • REDUCE-AMI (NEJM 2024): oltre 5.000 pazienti con FEVS ≥50%, nessun vantaggio dei β-bloccanti su mortalità o reinfarto.
  • ABYSS (Lancet 2023): la sospensione del β-bloccante a 1 anno da un IMA non complicato non aumentava il rischio di eventi, dimostrando sicurezza della de-prescrizione.
  • CAPITAL-RCT (2018): carvedilolo dopo PCI in STEMI non mostrava benefici a lungo termine.
  • Studi osservazionali e metanalisi hanno fornito risultati contrastanti: alcuni suggerivano un vantaggio limitato al primo anno, altri un effetto neutro in epoca moderna.

Nel complesso, l’evidenza attuale è concorde nel mostrare che nei pazienti post-IMA con FEVS preservata, i β-bloccanti non hanno più il ruolo universale che rivestivano in passato.

Alla luce dei risultati di questi trial, nei pazienti con FEVS ≤40%, scompenso cardiaco clinico, aritmie ventricolari o sopraventricolari, angina persistente o ipertensione non controllata, i β-bloccanti restano indicati e di provata efficacia. Nei pazienti con FEVS ≥40%, rivascolarizzati e clinicamente stabili, l’uso routinario sembrerebbe ingiustificato.Una possibile strategia, alla luce di BETAMI–DANBLOCK, potrebbe essere una prescrizione mirata e temporanea, nei primi 6–12 mesi post-IMA, nei soggetti a più alto rischio ischemico, con rivalutazione periodica dell’appropriatezza.

Conclusioni

REBOOT e BETAMI–DANBLOCK, pur con risultati diversi, convergono verso un messaggio comune: i β-bloccanti non sono più una terapia universale dopo infarto. In era di rivascolarizzazione sistematica e terapie farmacologiche moderne, il loro impiego va riservato a pazienti con indicazioni specifiche o a rischio più elevato, evitando la prescrizione automatica.

Le prossime revisioni delle linee guida internazionali dovranno tener conto di queste nuove evidenze, probabilmente spostando la raccomandazione da “routine” a “selettiva”. Per i cardiologi si apre così una fase nuova: non più “uno per tutti”, ma “uno per chi ne ha davvero bisogno”.

Bibliografia essenziale

  1. Ibáñez B, et al. Beta-Blockers after Myocardial Infarction without Reduced Ejection Fraction. N Engl J Med. 2025. (REBOOT trial).
  2. Munkhaugen J, et al. Beta-Blockers after Myocardial Infarction in Patients without Heart Failure. N Engl J Med. 2025. (BETAMI–DANBLOCK).
  3. Yndigegn T, et al. Beta-blockers after Myocardial Infarction and Preserved Ejection Fraction. N Engl J Med. 2024. (REDUCE-AMI).
  4. Dargie HJ, et al. Effect of carvedilol on outcome after myocardial infarction in patients with left-ventricular dysfunction: the CAPRICORN trial. Lancet. 2001.
  5. Puymirat E, et al. β-blockers and mortality after myocardial infarction in patients without heart failure. BMJ. 2016.