Perché un'alimentazione corretta previene l'infarto
Alimentarsi in maniera corretta non solo produce
uno stile di vita complessivamente più sano,
con positive ripercussioni sullo stato di
salute psicofisica di ogni individuo, ma può agire
da fattore di prevenzione dell’infarto e
delle malattie cardiovascolari in generale.
Le regole da seguire non sono punitive, ma solo di
buon senso, poiché laddove si evitano gli
eccessi si è già sulla buona strada per il
successo. Di seguito alcuni ulteriori accorgimenti
validi sia per coloro che sono a rischio di
malattie cardiovascolari e infarto che per tutti,
fin dalla più tenera età.
L'importanza delle proteine e delle vitamine, dei cereali e dei farinacei
Mentre i fabbisogno calorico è diminuito, è
diventato parallelamente
importante l’apporto proteico e di
vitamine, che aiutano a sviluppare la vigilanza e la
tensione nervosa anziché lo sforzo fisico.
Nella dieta quotidiana sono spesso trascurati
pane e farinacei, che invece hanno un
ruolo fondamentale nell’assicurare
l’apporto energetico
e di proteine vegetali e di
vitamina B1, indispensabile
per utilizzare i glicidi e utile all’equilibrio
nervoso. Più lenti da digerire, essi
hanno anche il vantaggio di regolare meglio
la glicemia e tenere a bada in senso di fame.
Ridurre gli zuccheri e i grassi
Parallelamente si aumenta invece il consumo di zuccheri, che non è consigliabile perché al suo aumento aumenta anche il fabbisogno di vitamina B1 e l’apporto proteico risulta “mutilato” dalla mancanza di proteine vegetali. Nella dieta contemporanea sono inoltre presenti troppi grassi, sia direttamente presenti nei cibi, che aggiunti per la cottura e la preparazione.
Che siano legati al consumo elevato di insaccati, o alla scelta di tagli di carne che contengono quasi più grasso che proteine, o ancora siano aggiunti ai cibi in fase di realizzazione del piatto finale, i grassi sono eccessivamente presenti nella dieta quotidiana di grandi e bambini, a sfavore di cibi come le uova, il fegato, il pesce, il latte parzialmente scremato, i formaggi magri, che rispondono assai meglio ai fabbisogni nutrizionali di bistecche e carni di maiale eccessivamente ricche di grasso.
Limitare gli alcolici
L’abuso di bevande alcoliche è un ulteriore elemento da stigmatizzare nella dieta di oggi e un sensibile fattore di rischio per la salute. Aperitivi o digestivi vengono aggiunti troppo spesso come supplemento alla dose limite equivalente a ½ o ¾ di litro di vino provocando un ingiustificato aumento dell’apporto calorico che può portare a perturbamenti metabolici e squilibri nutrizionali alla base di futuri disordini cardiovascolari.
Effettuare pasti regolari
Saltare i pasti, o effettuarli ad orari incongrui,
è un ulteriore indicatore di alimentazione non
sana, foriera di possibili problematiche.
Spesso il primo errore comincia dal mattino,
dall’assenza di una buona
prima colazione. Questa porta ad
effettuare pranzi troppo abbondanti, e, spesso,
a concentrare così in un unico pasto gran
parte dell’apporto calorico quotidiano. Alla
stanchezza e alla
mancanza di riflessi di fine mattinata (fame e
consumo di tutte le riserve), segue dunque
la sonnolenza del dopo-pranzo (lavoro intenso
di digestione), due stati entrambi incompatibili
con la vita attiva.
Per di più, questa assunzione alimentare limitata
ad uno o due pasti è scorretta ed estenuante
per il sistema digestivo e sollecita di più il
metabolismo. Nei giovani, il sovrappiù
di questa abbondanza improvvisa, che non
trova una utilizzazione immediata, viene
immagazzinata in modo da favorire il formarsi
di depositi. Per questa ragione, lo stesso apporto calorico ripartito in più
pasti nella giornata
non avrà alcuna incidenza sull’equilibrio del
peso, mentre, se assunto in una sola volta,
favorirà l’obesità e le malattie digestive.
L’alimentazione della giornata dovrebbe essere
divisa in almeno tre pasti: la
colazione, di un apporto proteico minimo di
g. 15, coprente dal 20 al 25% dell’apporto
calorico totale invece del 5-10% (quindi dalle 500
alle 600 calorie); il pranzo di un apporto
calorico del 40% invece del 55-60% (quindi
dalle 850 alle 950 calorie); la cena di un apporto
calorico del 35% (quindi dalle 750 alle
800 calorie).
La ricerca di un nuovo equilibrio alimentare è
un’arma essenziale della lotta contro le
“malattie della civilizzazione” tra le quali
occupano il primo posto le malattie
cardiovascolari.
La nostra alimentazione, attualmente mal adattata ai bisogni reali, deve essere rimessa a punto e riconsiderata come problema di importanza primaria. Occorre ricordarsi che anche la dieta deve essere considerata una cura, al pari della terapia con farmaci.
La dieta in cardiologia
Anche se la prescrizione dietetica occupa un posto
di importanza capitale in cardiologia, non si
può parlare di una dieta standard che possa
essere adottata da tutte le persone affette da
problemi cardiovascolari. Bisogna distinguere
tra:
• diete destinate ai malati, che
variano a seconda della natura della malattia;
• diete a scopo preventivo, dato
che è ormai nota l’importanza dei fattori
nutrizionali nella genesi dell’aterosclerosi
e delle sue complicanze cardiache.
Il trattamento medico può trarre un enorme
giovamento dall’essere associato ad un
regime alimentare. Da una parte, infatti, non
basta avere una cieca fiducia nel trattamento
farmacologico, senza volere imporsi allo
stesso tempo una certa “disciplina” o meglio una
certa igiene di vita.
Dall’altra parte,
la dieta è un complemento della cura
e molto spesso permette di ridurre
la posologia di alcuni farmaci che, com’è
noto, sono in genere provvisti di effetti
secondari.
Dieta senza grassi e colesterolo
Il colesterolo è fisiologicamente presente nel sangue, soprattutto nella composizione della bile, degli ormoni maschili e come elemento delle membrane cellulari, in particolare delle cellule nervose.
È del tutto normale che il nostro sangue ne
contenga da. 1,80 a 2,00 grammi per litro; è il
valore di colesterolemia normale, come esiste
una glicemia normale (zucchero del sangue) e una
lipidemia normale (lipidi del sangue). Non è
quindi avere il colesterolo che crea problemi.
Casomai, è la sua alta concentrazione –
“avere il colesterolo alto” – che merita
attenzione, perché
l’ipercolesterolemia
conduce spesso a malattie particolarmente
preoccupanti. L’eccesso di colesterolo rivela molto
spesso un difetto più o meno grave del sistema
cardiovascolare e rappresenta uno dei
principali segni dell’aterosclerosi (placche
fibrose fatte di lipidi, di colesterolo
e di calcio, sulla parete delle arterie). I
depositi ateromatosi
si creano a poco a poco nel corso degli anni
e ispessiscono le arterie diminuendo la loro
elasticità. Il rischio di
ipercolesterolemia può essere
dettato da alcuni fattori come l’età – il tasso di
colesterolo
tende ad aumentare con gli anni – il sesso – gli
uomini hanno la tendenza a superare i limiti
più delle donne – e, forse, anche il gruppo
sanguigno – il gruppo A sarebbe più vulnerabile
del gruppo B e O. Interviene inoltre
verosimilmente l’ereditarietà, per cui esistono
alcune ipercolesterolemie e iperlipidemie
familiari, anomalie metaboliche ereditarie
aggravate molto spesso da cattive abitudini
alimentari, e sicuramente lo stile di vita, in
particolare per quello che riguarda
la sedentiarietà e l’abuso di tabacco. È
indiscutibile tuttavia che il regime alimentare
sia il principale fattore che può influenzare
la colesterolemia. In via generale, le
popolazioni e le classi sociali ad alto tenore di
vita, la cui alimentazione è ricca
di prodotti animali e raggiunge un eccesso
calorico, registrano le condizioni più
favorevoli
all’instaurarsi di una ipercolesterolemia con i
rischi conseguenti.
Al contrario sembra che
l’alimentazione di tipo vegetariano faccia
abbassare il tasso di colesterolo nel
sangue. Numerose ricerche hanno dimostrato come i
grassi vegetali insaturi facciano abbassare
la colesterolemia mentre i grassi
animali, i grassi vegetali saturi (palma, cocco) e
gli olii idrogenati ne provochino
l’innalzamento. Un altro accusato è lo
zucchero che, insieme ai suoi derivati
(marmellata, cioccolata, caramelle), qualora
consumato in quantità può determinare un aumento
del colesterolo.
Infine l’olio. Indipendentemente dalla sua qualità
fornisce sempre 9 calorie per
grammo. Leggenda vuole che aggiungere qualche
cucchiaiata di olio di mais (ricco di acidi grassi
polinsaturi) ad una dieta giornaliera che
resta per altri versi ricca di grassi normali e di
zuccheri possa costituire una prevenzione
dell’ipercolesterolemia o dell’aterosclerosi.
Niente di vero, senza contare che non
dobbiamo mai dimenticare che
la somma delle calorie apportate dalle materie
grasse (condimenti + composizione degli alimenti)
deve costituire circa il 30% delle calorie
della razione alimentare.
Per essere chiari
Un regime normale di 2300 calorie deve fornire
60-70 grammi di lipidi: 3/5 di origine
animale (condimenti + composizione degli
alimenti), 2/5 di origine vegetale (condimenti
+
composizione degli alimenti).
Per essere pratici
I grassi da condimento devono essere:
• metà di origine animale (burro, strutto)
• metà di origine vegetale (olio, margarina)
Per essere precisi
L’alimentazione deve contenere ogni giorno:
• gr. 20 di burro
• gr. 20 d’olio
• il resto è fornito dai grassi comunque presenti
negli alimenti (carne, formaggio, insaccati)
Per essere informati
Con una porzione di patate fritte, si consumano g.
20 di olio
• Con una porzione di patate chips, se ne consuma
il doppio
• Alcuni insaccati sono molto ricchi di grassi
(50% e più): ciccioli, salami, salsiccie
• Meglio non abusare di tutti questi alimenti.
Occorre infine ricordare alcuni suggerimenti per
una cucina povera di grassi È indispensabile
un recipiente antiaderente. Scegliete bene la
misura e gli utensili di cui avete bisogno
(padella, casseruola, teglia, fortiera).
“Economizzerete” in grassi ciò che avrete speso
in
questo materiale di base.
La pentola a pressione abbrevia i tempi di cottura
e facilita la preparazione di carni brasate,
stufate e a vapore. Utilizzate il
“grill” del forno elettrico che permette di
ottenere in pochi minuti eccellenti grigliate
in cui è stato eliminato il grasso. La
carta di alluminio permette di cuocere al
cartoccio verdure, carni e pesci senza
grassi. Un pennello per spennellare l’olio
può essere di grande aiuto per utilizzarne il
minimo necessario.
Utilizzare la carta assorbente asciuga-tutto
consente di portar via i grassi e asciugare i
cibi. Formaggi bianchi allo 0% di materie
grasse, yogurt naturale “bulgaro”, tuorlo d’uovo
sodo, possono diventare la base di un gran
numero di salse fredde o calde. Anche il
tradizionale olio-sale-aceto per insalate può
divenire un condimento a basso
contenuto calorico se viene usato solo un po’
d’olio mescolato ad acqua o al limone.
Le grigliate costituiscono spesso la base delle
diete. Una leggera spennellata di olio eviterà
alla carne di abbrustolire troppo e qualche
spezia le conferirà un aroma gradevole. Al
contrario, i brasati sono sconsigliati nella
misura in cui la salsa che li accompagna è grassa.
La
carne potrà essere “rosolata” in un recipiente
antiaderente senza aggiungere grassi. In seguito
si asciugherà con della carta “asciuga-tutto”
e si continuerà la cottura a fuoco lento con
verdure e aromi diversi secondo la
ricetta. Ricordiamo, infine, che si può
cuocere anche senza grassi, in acqua o al
cartoccio. Per una buona cottura in acqua,
utilizzate una piccola quantità di acqua in modo
che i sapori non vadano dispersi. In effetti,
aggiungendo pochi aromi all’acqua di cottura i
cibi riacquistano una parte del sapore e
del profumo che perdono insieme ai sali
minerali e alle vitamine. Con la cottura al
cartoccio gli alimenti, messi in un recipiente
chiuso o avvolti in carta d’alluminio,
cuociono nel liquido che essi stessi producono e
si insaporiscono con gli aromi aggiunti prima
della cottura. Questi tipi di cottura
consentono di eliminare i grassi.
Le uova
È vero innanzitutto che le nostre abitudini
alimentari non si prestano ad un consumo regolare
di uova come succede nei paesi anglosassoni
(soprattutto a colazione). E poi esiste una
prevenzione verso un alimento che intere
generazioni hanno ritenuto nocivo per il loro
fegato, in nome di pregiudizi ritenuti oramai
ingiustificati dai medici. Ci vorrà ancora
qualche generazione per poter dimenticare queste
vecchie accuse, per riabilitare completamente
l’uovo nei nostri menù e riconoscergli un posto
equivalente a quello della carne.
L’uovo è un alimento proteico esattamente come la
carne, il pesce, i latticini: 2 grosse uova =
gr 100 di carne = gr 100 di pesce = ml 200 di
latte. L’uovo offre il doppio vantaggio di
essere la fonte proteica animale meno cara e più
equilibrata. A parità di apporto proteico,
l’uovo è da tre a quattro volte meno caro della
carne. Il suo prezzo, per di più, non è
aumentato nella stessa proporzione degli altri
prodotti animali. Esso permette di nutrirsi
in modo completo spendendo decisamente meno. Si
tratta inoltre della più equilibrata fonte
proteica: le proteine dell’uovo hanno un valore
biologico molto alto e sono prese come punto
di riferimento per determinare l’efficacia delle
altre fonti proteiche della
nostra alimentazione, anche perché gli
aminoacidi indispensabili (quelli che l’organismo
non può fabbricare) sono presenti in
proporzione particolarmente equilibrata. Le
proteine sono ripartite in parti quasi uguali tra
il tuorlo e l’albume. Quelle dell’albume sono
le albumine che, per essere utilizzate
dall’organismo, devono essere rapprese dalla
cottura (bere uova crude è un nonsenso
alimentare); quelle del tuorlo sono le
fosfoproteine (che assicurano il nutrimento
dell’embrione di pollo). L’uovo, inoltre, è
una fonte proteica poco grassa. Concentrati nel
tuorlo, i grassi dell’uovo si trovano sotto
una forma emulsionata che ne facilita la
digestione. Molto meno abbondanti che
nella maggior parte delle carni, essi
contengono le lecitine, fattori di crescita che
rappresentano un limite all’azione del
colesterolo. Questa notizia non è priva di
interesse dal momento che l’uovo
è naturalmente ricco di colesterolo (270 mg
per uovo).
L’uovo è, insieme al latte, la migliore fonte di
fosforo assimilabile. Anche se contiene poco
calcio, procura in compenso molto ferro (due
uova coprono il 20% del fabbisogno
quotidiano). Il sodio è abbondante, ma
concentrato nell’albume, fatto che permette
l’utilizzazione del tuorlo nei regimi
asodici. L’uovo fa parte degli alimenti più
ricchi di vitamina A (crescita, protezione della
pelle, della vista), tanto che due uova
assicurano la copertura del 30% del nostro
fabbisogno giornaliero. Ugualmente ricco di
vitamina B2 è al contrario povero di vitamina C,
come la stragrande maggioranza degli alimenti
proteici. Tutti gli specialisti sono oggi
d’accordo nel riabilitare l’uovo e liberarlo
dall’alone di sospetto che lo ha sempre
circondato. Per la maggioranza dei
consumatori, a condizione che siano molto fresche
(è un prodotto facilmente deteriorabile) e
non siano state cucinate in modo indigesto (troppi
grassi, grassi surriscaldati), le uova sono
un ottimo alimento; con esse si può preparare un
gran numero di piatti, arricchire un pasto
senza aumentarne il volume nel caso di
superalimentazione o di convalescenza (uovo
aggiunto ad una purea o ad una minestra),
completare un menù un po’ leggero (uovo sodo
per antipasto o in insalata mista),
sostituire completamente un piatto di carne o di
pesce. Viene considerato normale un consumo
di 4 uova a settimana.
Lo yogurt
Lo yogurt è un latte fermentato ad opera di due
batteri lattici: lo streptococco
(strepto-coccus termophilus) responsabile
dell’aroma, ed il lattobacillo (lactobacillus
bulgaricus) responsabile dell’acidità.
La materia prima di base di un qualsiasi yogurt
(industriale o fatto in casa, naturale o
raffinato zuccherato o alla frutta) è il
latte con tutti i suoi elementi nutritivi (a
differenza dei formaggi che subiscono qualche
perdita quando viene setacciato il
caglio). Lo yogurt può essere di
fabbricazione industriale o domestica.
Per la fabbricazione industriale, le industrie
impiegano il latte pastorizzato
preliminarmente arricchito con latte in
polvere scremato. Il latte caldo, messo in
tini e raffreddato fino ad una temperatura di 42 –
44°, riceve i due tipi di fermenti che lo
trasformeranno in yogurt: • per gli yogurt
tradizionali i fermenti vengono aggiunti
direttamente nelle vaschette, perciò
la trasformazione si opera negli stessi
contenitori durante un passaggio di 2 – 3 ore
negli sterilizzatori; per gli yogurt
raffinati (tipo vellutato) la fermentazione si
effettua nei tini prima del condizionamento;
nella seconda fase esso viene mescolato a lungo e
raffreddato, e solo alla fine viene messo in
vasetti; • per gli yogurt naturali non è
autorizzato l’uso degli additivi; • per gli
yogurt alla frutta esiste la possibilità
regolamentata di aggiungere coloranti e
aromi. La fabbricazione domestica degli
yogurt utilizza lo stesso principio di
fermentazione. Basta acquistare dei fermenti
selezionati o inseminare il latte con dello yogurt
e lasciare che la fermentazione avvenga nella
yogurtiera (elettrica o non), in vasetti
individuali o familiari. È opportuno
ricordare che lo yogurt è, prima di tutto, latte
sotto forma diversa, in qualche
modo predigerita. In esso di ritrovano quindi
le sostanze del latte: proteine, calcio, vitamine,
sali minerali.
Perfino la quantità di proteine e di calcio è
leggermente superiore quando vi si aggiunge del
latte in polvere durante la
fabbricazione. Il contenuto di grassi dello
yogurt dipende da quello del latte utilizzato:
• gli yogurt fatti con latte intero sono più
grassi: gr. 4,3 di materie grasse su un vasetto di
gr. 125;
• gli yogurt tradizionali fatti con latte
parzialmente scremato contengono gr. 1,2 di
materie grasse su un vasetto di gr. 125;
• gli yogurt raffinati sono un po’ più grassi: gr.
2 per vasetto
• gli yogurt magri, fatti con latte scremato, non
contengono quasi grassi: gr. 0,2 per vasetto.
La composizione dello yogurt naturale è così
uniformata a quella del latte, tanto che si stima
che un vasetto sia pari a:
• 1 bicchiere di latte ( 150 ml)
• gr. 70 di formaggio bianco (ricotta)
• gr. 20 di gruviera.
Il valore calorico di uno yogurt dipende dal
quantitativo di grassi e di zuccheri che contiene.
I meno ricchi sono gli yogurt naturali magri
(46 calorie per vasetto); i più ricchi sono quelli
zuccherati, aromatizzati e alla frutta (120
calorie per vasetto). Lo yogurt ha una
eccellente digeribilità la fermentazione del latte
non cambia il valore nutritivo del prodotto.
Le modificazioni che essa apporta riguardano la
migliore digeribilità dei
componenti, essenzialmente proteine (la
caseina) es. il lattosio. Per azione dell’acido
lattico, la caseina (una delle proteine del
latte) si divide in piccole particelle, che
presentano una maggiore superficie di
contatto ai succhi digestivi. Infatti occorre
meno acido cloridrico per digerire lo yogurt che
per digerire il latte. Le lattalbumine (altre
proteine del latte) subiscono da parte loro, sotto
l’azione dei fermenti lattici, una
predigestione. Alcune intolleranze al latte sono
dovute ad una cattiva digestione del lattosio
(insufficienza enzimatica o intolleranza a questo
zucchero del latte). Nello yogurt, il
lattosio del latte viene in parte trasformato
in acido lattico, che elimina il rischio di
intolleranza. L’acido lattico ha anche una
azione favorevole sull’assorbimento intestinale
del glucosio e l’assimilazione di minerali e
vitamine. Lo yogurt svolge un’azione benefica
sulla flora e sul funzionamento intestinale: anche
se il modo in cui agisce è un po’ complesso e
l’efficacia qualche volta controversa, si sa che
lo yogurt, somministrato nel corso di un
trattamento antibiotico, costituisce un aiuto alla
regolarizzazione della flora
intestinale. Contrariamente a quanto si crede
di solito, lo yogurt non ha un’azione
decalcificante. Esso è un’eccellente fonte di
calcio assimilabile. L’acido lattico, in effetti,
non agisce da decalcificante, anzi facilita
l’assorbimento intestinale di tutto il calcio
contenuto nella razione.
Il consumo di yogurt è perciò particolarmente
indicato in caso di deficienze di calcio o
di fabbisogno particolarmente marcato
(gravidanza, adolescenza, riparazione ossea).
La dieta senza zucchero
La dieta senza zucchero consiste nel ridurre le
quantità di glicidi (zucchero e amido)
apportati dall’alimentazione quotidiana.
Questa è naturalmente obbligatoria nei casi di
iperglicemia e di diabete, ma anche nel
trattamento dei postumi dell’infarto, dato che
l’abuso di zuccheri è in parte responsabile
della formazione di ateromi. Anche il trattamento
dell’obesità si avvale di un
regime restrittivo di glicidi. Questi ultimi
rappresentano spesso delle “entrate superflue”:
l’alcool, le bevande zuccherate, le
caramelle, i dolci. La riduzione al minimo
dell’apporto di glicidi permette
la correzione dell’obesità e di alcune
iperlipidemie, non necessariamente legate soltanto
all’abuso dei grassi e può essere compensata
da un aumento della razione proteica. In ogni
modo, l’organismo sa “fabbricare” il glucosio
(carburante del muscolo e delle cellule)
partendo dalle “riserve” di grassi e,
all’occorrenza, dai tessuti. Per quanto
riguarda il loro contenuto di glicidi, gli
alimenti possono essere classificati come
poveri
di glicidi (10% delle calorie totali), a contenuto
medio (10 – 20%) o ricchi di glicidi (>20%).
Alimenti poveri di glicidi (10%)
– Possono essere consumati quasi liberamente
• Tutte le carni, pesci, molluschi, crostacei,
uova, formaggi magri, latte, yogurt.
• Alcune verdure: cicoria, indivia, lattuga,
scarola, pomodori, cetrioli, peperoni,
bieta, ravanelli, melanzane, asparagi,
sedano, cavolo, cavolfiore, funghi, spinaci.
• Alcuni frutti: pompelmo, arancia, mandarino,
cocomero contengono meno del 5% del loro peso
di glicidi, ma tuttavia attenzione, perché si
consumano più facilmente 200 gr. di
arance che 100 gr. di pasta o riso! Non
possono dunque essere consumati a volontà.
Alimenti a contenuto medio di glicidi
(10-20%) – Bisogna controllare il consumo
• Verdure: carote, carciofi, patate, barbabietole,
rape, verza, piselli, cavoletti di Bruxelles.
• Frutta: albicocche, ananas, pere, mele,
ciliegie, prugne.
• Cereali: pane bianco e integrale, pasta, riso,
semolino, fette biscottate
Alimenti ricchi di glicidi
(>20%)
• Legumi secchi
• Frutta: banane, uva, fichi, castagne, datteri e
tutta la frutta secca e sciroppata
• Dolciumi: zucchero, caramelle, cioccolata,
marmellata, miele, pasticceria,
torrone, marzapane, latte concentrato
zuccherato
• Bevande: liquori, vini zuccherati, sidro, birra,
limonata, soda, sciroppi, succhi di
frutta confezionati
Lo zucchero
Lo zucchero fa parte della famiglia dei glicidi –
o idrati di carbonio – che nei nostri alimenti si
presentano essenzialmente sotto forma di:
• amidi (pane, patate, riso, legumi secchi),
• saccarosio (zucchero in polvere o in zollette),
estratto dalla barbabietola o dalla canna
da zucchero,
• lattosio (latte),
• fruttosio e glucosio (frutta e miele).
Questi ultimi due glicidi, piuttosto rari allo
stato libero nei nostri alimenti, sono forme
semplici direttamente assimilabili.
L’amido è per eccellenza il tipo
di zucchero ad assorbimento lento. Pur essendo
utilizzabile meno rapidamente, la sua azione
ha il vantaggio di essere più sostenuta e più
duratura.
In un’alimentazione equilibrata, l’amido deve
rappresentare circa il 55% della razione
glicidica. Si trova nei cereali (pane, riso,
farina) ma anche nelle patate, nei legumi secchi,
nella fecola e nella tapioca.
Il saccarosio, in opposizione
all’amido, è uno zucchero che viene digerito e
assorbito dall’intestino molto rapidamente.
Risulta dunque subito efficace. In
un’alimentazione equilibrata, il
saccarosio non deve superare il 20% della
razione glicidica: il che corrisponde all’8-10%
delle calorie giornaliere o a 50-60 grammi di
zucchero in polvere o in zollette. Nei regimi
ipocalorici (obesità, ipertensione arteriosa,
ipercolesterolemia, aterosclerosi) i
prodotti zuccherati devono essere limitati
allo stesso modo dei grassi e dell’alcool.
Nel diabete, malattia del
metabolismo in cui il glucosio fatica a penetrare
nelle cellule dei muscoli e nel fegato per
l’insufficienza di insulina, l’apporto di zuccheri
deve essere sorvegliato severamente per
impedire al glucosio di saturare il sangue e di
debordare nelle urine. Si può zuccherare con
il fruttosio? Questa è una domanda molto
frequente. Presentato come “edulcorante
naturale”, in opposizione alla saccarina
“edulcorante chimico”, per rimpiazzare
lo zucchero “frutto proibito”, il fruttosio è
spesso consigliato nei negozi di prodotti
dietetici ai diabetici e a coloro che
vogliono dimagrire. È molto importante fare
qualche precisazione in proposito. Il
fruttosio, zucchero naturalmente presente nella
frutta, nel miele e nel saccarosio, ha
il vantaggio di essere metabolizzato in gran
parte senza insulina. Questo fatto poteva
aprire
interessanti prospettive nel trattamento del
diabete. Ma il fruttosio non può essere utile che
entro certi limiti e a condizione di sapere
che:
• Come tutti gli zuccheri, fornisce 4 calorie a
grammo.
• Il suo uso deve essere moderato nella misura in
cui il diabetico ha molto spesso da
risolvere contemporaneamente problemi di
eccesso di peso.
• Il fruttosio si trasforma molto rapidamente in
lipidi, difetto grave se si pensa al
problema dell’aterosclerosi il cui rischio è
già accresciuto dalla stessa malattia
diabetica.
• Più il diabete è grave, più l’utilizzazione del
fruttosio è proibita. Pertanto, il fruttosio
può entrare nella dieta del diabetico, ma
solo quando il diabete non è preoccupante.
Esso compare, d’altra parte, nella
composizione di numerosi prodotti dietetici. Ma in
nessun caso può essere consumato a volontà,
come alcuni commercianti vorrebbero lasciar
intendere.
Gli edulcoranti di sintesi
Gli edulcoranti di sintesi sono sostanze di
origine chimica o naturale, dotate di un
potere dolcificante molto superiore a quello
del saccarosio (zucchero comune) e sprovviste di
qualsiasi valore calorico.
Se comunemente per zuccherare i nostri cibi
utilizziamo il saccarosio (zucchero di
barbabietola o di canna) che fornisce 4
calorie a grammo, in alcune circostanze invece
occorre limitare il consumo dello zucchero in
modo più o meno severo:
• in caso di diabete e di obesità;
• in tutti i casi in cui è necessario ridurre
l’apporto calorico globale della razione
alimentare.
È quindi per permettere di continuare a provare il
piacere dei sapori dolci, divenuti proibiti,
che sono stati messi a punto e lanciati sul
mercato i “falsi zuccheri”.
L’impiego degli edulcoloranti non è dispensabile e
ci si può abituare molto facilmente a
non zuccherare del tutto (cosa preferibile
soprattutto per il diabetico). Tuttavia bisogna
riconoscere che questi edulcoranti sono un
aiuto per chi mal sopporta una dieta già per molti
versi restrittiva. Se si toglie ad un
individuo ogni soddisfazione del gusto (zucchero,
alcool, grassi) e se in cambio non gli si
offre una compensazione o una possibilità di
sostituzione, si rischia di scoraggiarlo o
di costringerlo a rinunciare alla dieta.
Attualmente vi sono in commercio tre famiglie di
edulcoranti:
• il primo e più diffuso, la saccarina,
• i più contestati, i ciclammati,
• il più recente, l’aspartam.
La saccarina
Derivato del toluene, è il primo zucchero chimico di sostituzione che sia stato scoperto (1879). È anche quello che ha rimpiazzato lo zucchero in periodo di guerra. Nelle dosi abitualmente impiegate dall’uomo, la tossicità della saccarina sembra molto debole (nessun effetto sulla crescita e sull’embrione; nessun effetto cancerogeno). Il potere dolcificante della saccarina è da 300 a 500 volte quello del saccarosio.
I ciclammati
Derivati del catrame di carbon fossile o dal petrolio, i ciclammati sono in commercio dal 1950 sotto forma di sale di sodio o di calcio. Sono gli edulcoranti che hanno suscitato le più vive controversie su una loro possibile tossicità dal momento che venivano usati correntemente nella fabbricazione di numerosi alimenti e bevande in alcuni paesi e quindi imposti per via indiretta e consumati in forti dosi.
La dieta senza sale
La dieta senza sale notoriamente è prescritta in
casi di insufficienza cardiaca e di
ipertensione arteriosa. L’ipertensione
arteriosa è, generalmente, un fattore
’aggravamento di una malattia cardiologica e
può provocare incidenti cardiovascolari (infarto
del miocardio, emorragie
cerebrali). L’ipertensione è caratterizzata
da una pressione troppo forte esercitata dal
sangue sulla parete delle arterie. Il sale,
che fa aumentare il volume di sangue circolante,
ha l’effetto di accrescere questa pressione e
proprio per questo assume un importante ruolo
nell’ipertensione arteriosa. La dieta senza
sale si applica in tre forme:
• Il regime iposodico leggero (apporto giornaliero
di sale tra 5 e 6 grammi) Consiste
nell’evitare il sale da tavola e da cucina, i
condimenti e i cibi ricchi di
sale (insaccati, conserve, formaggi). Il pane
e il latte sono ammessi, ma in quantità limitata.
Si ricorre molto spesso a questa dieta perché
è utile ai malati che soffrono di
disturbi cardiovascolari leggeri e, a volte,
alla donna incinta a fine gravidanza.
• Il regime iposodico moderato (apporto
giornaliero di sale tra 1 e 2 grammi) Anche
in questa dieta bisogna evitare il sale, i
condimenti, gli alimenti ricchi di sale, e,
in più, sostituire alcuni alimenti di uso
corrente con prodotti dietetici della stessa
natura, ma il cui contenuto in sodio è
considerevolmente più basso (latte e burro
dietetici, pane e biscotti senza sale).
• Il regime iposodico stretto (apporto giornaliero
di sale tra 0,5-1 grammo) È una dieta a base
di frutta, zucchero e riso. È poco usata ed è
applicabile a malati ricoverati in ospedale,
perché necessita di sorveglianza continua.
Alcune terapie a lungo termine causano una
ritenzione d’acqua con comparsa di edemi.
Occorre ricordare che in questo modo
agiscono, per esempio, alcuni antinfiammatori
derivati dal cortisone. Durante il
trattamento sarà preferibile diminuire l’apporto
quotidiano di sale dietro
consiglio medico. Bisogna ricordare che
numerosi farmaci contengono sale (per esempio
alcune compresse effervescenti o alcune
polveri digestive). È inoltre necessario attenersi
alla quantità di sale indicata dal medico e
consumare solo gli alimenti permessi. La cottura
dei cibi, prevalentemente brasati o stufati,
deve essere fatta senza aggiunta di sale (carne
alla griglia, arrosti, fritture sono tollerati).
Un regime senza sale è poco gradevole e
difficile da sopportare a causa della povertà dei
sapori, quindi si raccomanda di impiegare una
cucina il più possibile variata. Il sapore potrà
essere messo in risalto utilizzando spezie,
aromi e altri ingredienti secondo il gusto
personale (aceto, limone, pomodoro, senape,
capperi e cetriolini dietetici).
È opportuno ricordare che esistono alcuni prodotti
dietetici senza sale, i quali tuttavia
devono rispondere a due condizioni:
• essere preparati senza aggiunta di sale
• avere un contenuto di sale inferiore alla metà
di quello degli alimenti correnti della
stessa natura senza tuttavia superare 120 mg.
di sodio per 100 gr. di prodotto da consumare. È
perciò indispensabile leggere bene la loro
composizione sul foglio esplicativo.
Esistono poi prodotti dietetici impoveriti di
sodio, il cui contenuto in sodio è inferiore a 120
mg. per 100 grammi, e prodotti dietetici
privati quasi totalmente di sodio. In questo caso
il contenuto in sodio è inferiore a 40 mg.
per 100 grammi. Sul mercato è anche possibile
reperire latte, biscotti, condimenti, conserve,
piatti pronti ecc..
Per quanto attiene ai sostitutivi del sale da
cucina, il loro contenuto in sodio è inferiore a
10 mg. per 100 grammi di prodotto; riportano
la dicitura “senza sodio” e sono costituiti spesso
da cloruro o glutammato di potassio, la cui
quantità è indicata chiaramente.
Esistono infine alcune tipologie di prodotti non
regolamentati per i quali non viene fatta una
precisa menzione del contenuto in
sodio. Di seguito alcune indicazioni su
alimenti sconsigliati o consigliati per una dieta
povera di sale.
ALIMENTI
SCONSIGLIATI
CONSIGLIATI
L'alcool
L’alcool è un alimento, un farmaco, una droga ?
È tutte e tre le cose contemporaneamente, anche se
dal punto di vista medico-sociale
appare preponderante il ruolo di droga. Anche
se la sua importanza terapeutica è assai modesta,
l’alcool deve essere considerato il più
antico medicamento nonché il più diffuso.
È certo che l’uomo sapeva produrre sostanze
alcooliche quando sulla terra non era ancora
comparso nessun segno di civiltà. Da
tavolette di argilla incisa trovate in
Mesopotamia, si è appreso che 2100 anni a. C., una
dose di bevande alcooliche era inclusa nel
salario degli addetti ai lavori pesanti. Il primo
e più lungo impiego terapeutico dell’alcool è
stato fatto come analgesico ed
euforizzante. Salomone ne condannava l’abuso
“che snerva le forze, deprime la mente, è cagione
di ferite e fa sì che la bocca dica cose
perverse”, ma nei Proverbi dice anche “date del
vino all’individuo triste e al misero: bevano
essi e dimentichino la loro malinconia e la loro
povertà “.
Ippocrate, il “padre della medicina” fu il primo a
considerare ufficialmente l’alcool non
un alimento, ma un farmaco e, dopo di lui, i
medici che prescrissero l’alcool come terapia di
molte malattie furono
innumerevoli. L’alcool era l’anestetico
chirurgico di uso corrente prima dell’etere. In
tutti i western il cowboy ferito, prima di
farsi togliere la pallottola dalla spalla, beve
sempre mezza bottiglia di whisky.
Gli effetti dell’alcool si esplicano a carico di
molti organi, ma risultano soprattutto evidenti a
carico del sistema nervoso centrale, dove non
svolge, come molti credono, un’azione stimolante,
bensì depressiva che diviene mano a mano più
manifesta col crescere della quantità assunta.
La successione dei fenomeni è la seguente:
disorganizzazione mentale, progressiva perdita
del controllo muscolare, incoordinazione dei
movimenti, difficoltà a camminare e ad articolare
la parola, sonno sempre più profondo e,
infine, coma. La credenza che l’alcool sia
un’eccitante deriva dalla sua capacità di
togliere le inibizioni determinando un
comportamento euforico ed impulsivo.
Chi è ebbro vede il mondo e se stesso attraverso
un vetro rosa, crede di possedere
grande intelligenza (che spiega la sua
verbosità) e grande forza muscolare (che spiega la
sua rissosità). Ritiene di avere anche grande
vigore sessuale, ma Shakespeare giustamente ha
scritto che l’alcool “stimola il desiderio,
ma annulla le capacità”. Il 90 per cento
dell’alcool ingerito viene metabolizzato dal
fegato, che è l’organo che più frequentemente
subisce le conseguenze dell’abuso
protratto. Il fegato sano di un adulto riesce
a metabolizzare mediamente un grammo di alcool per
ogni chilo di peso corporeo al giorno, vale a
dire che un uomo di settanta chili può bere
tranquillamente 70 grammi di alcool nel corso
della giornata: il limite di guardia viene
indicato intorno ai 120 grammi, cioè un litro
di vino di 12 gradi. Anche se la suscettibilità
individuale è assai variabile, oltre
questo limite cominciano i pericoli e la
prova è che nei Paesi dove si beve di più, il
fegato si ammala più frequentemente. Qualche
importanza nel ruolo epatolesivo delle bevande
alcooliche viene attribuita ad altre sostanze
tossiche, quali chiarificanti, coloranti,
conservanti, ma non vi è dubbio che l’effettopiù
importante è dovuto all’alcool etilico, il quale
possiede una vera tossicità organo-specifica per
il fegato. Il primo segno di lesione epatica
è l’accumulo di grasso nelle cellule, detto
steatosi. Per quanto riguarda il cuore, che
un paio di bicchieri, bevuti abitualmente durante
il pasto, potessero risultare benefici per il
cuore, era stato sostenuto già parecchi anni fa da
vari cardiologi americani, i quali pensarono
che ciò fosse dovuto all’azione tranquillizzante
ed euforizzante del vino. Oggi, a seguito di
varie ricerche, epidemiologiche e cliniche, si
ritiene che l’effetto protettivo del vino
si manifesti aumentando il colesterolo HDL.
Il colesterolo “buono”, lo spazzino che deterge le
pareti delle arterie da quello
cattivo. I dietologi attualmente raccomandano
il vino in tutte le diete
anti-aterosclerotiche.
È un consiglio da accogliere con prudenza, perché
se è probabile che un po ‘ di vino faccia bene
al cuore, è ben certo che molto vino mette
k.o. il fegato. Non corriamo il rischio, per
prevenire l’infarto, di morire di cirrosi.
La frutta
Anche se esistono variazioni talvolta importanti
da una specie all’altra e perfino da un
frutto all’altro, la caratteristica comune a
tutta la frutta è una grande ricchezza di acqua
(80-90%) e l’apporto di elementi minerali
(potassio e calcio) e di vitamina C. Tuttavia
due categorie di frutta vanno considerate a parte:
quella secca (datteri, prugne, fichi…)
e quella oleosa (noci, nocciole, noccioline
americane): la prima particolarmente ricca di
glicidi, l’altra di lipidi, quindi entrambe
molto caloriche.
La frutta fresca contiene solo tracce di lipidi e
di proteine. Qual è il valore alimentare
della frutta fresca? Oltre a contenere dall’80 al
90% di acqua, la frutta fresca ha un
contenuto in zuccheri variabile, ma spesso
accettabile. Poco elevato per gli agrumi e la
frutta rossa (eccettuata la ciliegia), esso è più
marcato nella mela, la pera, la prugna e la
ciliegia (12-15%) e ancor per l’uva ( 17 % ) e la
banana ( 20 % ). Dal contenuto di zucchero
dipende il valore calorico con una media di 50
calorie per g. 00. La frutta fresca contiene
solo tracce di lipidi e di proteine. Al contrario
è una buona fonte di potassio e di
calcio. Ricordiamo che se il suo contenuto di
calcio è lontano dall’eguagliare quello del latte
e dei latticini che, da soli, possono coprire
il fabbisogno dell’organismo, essa può tuttavia
costituire un valido complemento.
Il contenuto di vitamina C della frutta varia
secondo la specie, l’annata (più o meno calda
e assolata), l’esposizione sull’albero, il
tempo di conservazione (la vitamina C è fragile e
scompare nel periodo di immagazzinamento).
Come regola generale gli agrumi e le fragole ne
sono più ricchi; le più povere sono alcune
varietà di mele (soprattutto la Golden), l’uva, i
fichi e le banane. Segnaliamo l’eccezionale
ricchezza in vitamina C dei frutti esotici (mango,
papaia, ciliegia delle Antille). Alcuni tipi
di frutta contengono anche carotene (albicocca),
elemento parzialmente trasformato in vitamina
A nell’organismo.
La frutta deve essere consumata tutti i giorni e
anche più volte al giorno. Essendo, nella
maggior parte dei casi, povera di zuccheri essa
può essere utilizzata nei regimi ipocalorici
e ipoglicidici, a condizione:
• di non essere “zuccherata” o ricoperta di
panna;
• di non essere consumata “a volontà”, soprattutto
l’uva che, contrariamente alle apparenze,
è calorica quasi quanto la banana;
Ricca di potassio e povera di sodio, la frutta fresca aggiunge un tocco di fresca allegria alle diete senza sale, dove trova la sua collocazione ideale, è facile digerirla e non ha alcuna controindicazione, se si eccettua qualche caso speciale di intolleranza (allergia alle fragole o agli agrumi). Grazie alla presenza di cellulosa e di pectina, la frutta è leggermente lassativa ed è un buon mezzo per combattere quotidianamente la costipazione. Infine bisogna sapere che la mela cruda grattugiata è un buon regolatore intestinale e che la banana matura schiacciata viene consigliata in caso di diarrea. L’acidità della frutta, dovuta alla presenza di acidi organici, esercita un effetto stimolante sull’appetito; non comporta inoltre, contrariamente ad alcune credenze, alcun inconveniente per lo smalto dei denti.
La quantità giornaliera di frutta consigliata è:
• bambini dai 3 ai 6 anni: 100 grammi al giorno
(peso netto)
• bambini dai 6 ai 10 anni: 150grammi
• bambini dai 10 ai 14 anni: 150 grammi
• adolescenti ( 14-20 anni): 200 grammi
• adulti e anziani: 150 grammi
In conclusione, occorre ricordare che:
• gli agrumi sono ricchi di calcio e vitamina
C;
• la frutta rossa (ribes, fragola, lamponi,
ciliegia) è un’importante fonte di calcio e, in
minor misura, di vitamina C;
• la frutta con il nocciolo (pesche, albicocche,
prugne) è una discreta fonte di vitamina C
e contiene carotene in buona quantità;
• la frutta coi semi (mela e pera) fornisce un
apporto minerale limitato e molto variabile
in vitamina C;
• l’ananas è una buona fonte di vitamina C;
• l’uva è una scarsa fonte di sali minerali,
vitamina C e carotene. Supera invece di molto
gli altri tipi di frutta per l’apporto
calorico.
FRUTTA DI USO CORRENTE
Tipo di Frutto
Calorie: 100g
Glicidi: g/100
Calcio: mg/100
Vit.C: mg/100
Il caffè
“Posso prendere qualche caffè?”. È una delle
domande che più spesso i medici si sentono
porre. La risposta è spesso inspiegabilmente
negativa; in realtà sono pochissimi i malati di
cuore peri quali il caffè è
controindicato. Nelle ricette dei vecchi
medici che proibivano il caffè, si trovavano
spesso analettici contenenti 1-3- 7
trimetil-xantina che altro non è che caffeina, il
principale alcaloide contenuto nei chicchi di
caffè. Le controindicazioni sono costituite
dal nervosismo, dalle distonie
neurovegetative, dall’ipertiroidismo,
dall’ulcera gastrica reflusso gastro-esofageo,
dalle affezioni delle vie biliari e, se si
vuole essere rigorosi, dalla gotta.
I pregiudizi sono, invece, ancora numerosi
nonostante che i trattati di farmacologia
elenchino numerose azioni benefiche del caffè
e quasi non parlino di effetti
tossici. Perché il caffè esplichi effetti
sfavorevoli, tachicardia, nervosismo, agitazione,
nausea, insonnia, tremori se ne devono
assumere quantità eccessive. Nell’animale da
esperimento gli effetti tossici
si manifestano quando vengono superati i
cento milligrammi di caffeina per ogni chilo di
peso corporeo, che per un uomo
significherebbero quasi dieci grammi. Per un caffè
vengono impiegati circa 5 grammi di polvere
la quale contiene, al massimo, il due per cento di
caffeina; poiché nella soluzione ne passa in media
il 75 percento, una tazza di caffè contiene non
più di 0,10 grammi di caffeina, una quantità
priva di effetti apprezzabili. La caffeina
stimola il sistema nervoso centrale, aumenta il
rendimento cerebrale, migliora i tempi
di reazione e accresce le capacità muscolari
allo sforzo. Stimola anche il centro cardiaco
e quello del respiro per cui, a differenza di
quanto molti ritengono, risulta benefico alla
maggior parte dei malati di cuore. Non dà
assuefazione anche se non raramente, fra i forti
bevitori di caffè, viene ritrovato uno
“stato di bisogno”. Dosi elevate di caffè
possono talvolta provocare cardiopalmo,
tachicardia ed extrasistolia, ma nessun tipo
di cardiopatia organica è causato dal caffè. Un
lungo studio epidemiologico ha escluso
qualunque rapporto fra consumo di caffè e
incidenza delle coronaropatie.
Il sospetto era stato originato dalla constatazione che il consumo continuativo di caffè poteva talvolta influenzare la composizione dei grassi del sangue, in particolare dei trigliceridi. Queste modificazioni sono però risultate di scarsa rilevanza e, secondo alcuni cardiologi che si sono interessati al problema, sarebbero da attribuire allo zucchero piuttosto che al caffè. Quantità moderate di caffè possono essere tranquillamente consumate anche da coloro che soffrono di aterosclerosi o di malattie delle coronarie a condizione che non provochino tachicardia o extrasistoli. L’azione stimolante del caffè si fa risentire anche sul metabolismo basale che risulta lievemente più elevato nei consumatori abituali, per cui, a buon diritto, il caffè che è praticamente privo di calorie, ovviamente senza zucchero, può essere consigliato alle persone in sovrappeso che mirano a perdere qualche chilo. Non va dimenticato che se tre caffè al giorno possono essere consentiti a tutti, tre cucchiai di zucchero no. L’insonnia da caffè è assai incostante, in gran parte legata a condizioni individuali, se non a suggestione. Esistono individui che dormono meglio dopo aver bevuto un caffè alla sera. In coloro che lamentano stati depressivi, l’effetto euforizzante del caffè può influenzare beneficamente la cinestesi a favorire così il sonno. Le azioni della caffeina a livello del sistema nervoso centrale si riflettono infatti direttamente sull’umore. Alcuni psicologi e antropologi sostengono che il caffè ha utilmente contribuito al miglioramento dei rapporti sociali.
Pertanto, sani o ammalati, se ci piace e ci tira su, prendiamo tranquillamente due-tre tazzine di caffè al giorno che possono costituire un aiuto contro gli stress quotidiani.
I cibi conservati
Anche se il consumatore riconosce ai cibi
conservati qualità di ordine pratico ed economico,
tende tuttavia ad avere minor fiducia nel
loro valore nutritivo e a chiedersi se non sia
imprudente abusarne: il suo timore è quello
che i prodotti conservati mascherino una qualità
mediocre o che le vitamine siano
scomparse.
I cibi vengono conservati grazie ad un processo di
sterilizzazione col calore.
Questa avviene ad una temperatura di 100-150°C e
distrugge tutti i microrganismi, comprese
le spore e i batteri più resistenti. Una
conserva o un latte sterilizzato possono essere
mantenuti molto a lungo in perfetto stato di
conservazione, a condizione però che il
trattamento di sterilizzazione a caldo sia
stato sufficiente per temperatura e durata, in
modo da aver raggiunto le parti più
interne del prodotto (cosa che non sempre
avviene nella preparazione domestica delle
conserve).
Le temperature di sterilizzazione variano secondo
la natura del prodotto da trattare e in
funzione della grandezza e della forma dei
contenitori. Nelle industrie conserviere vengono
applicate tabelle di sterilizzazione, che
tengono conto di diversi parametri e il cui
principale obiettivo è la qualità finale del
prodotto (sia per quanto riguarda il valore
nutritivo, che la qualità della degustazione).
La sterilizzazione avviene in recipienti chiusi
ermeticamente e il prodotto resta stabile
fino all’apertura del contenitore. Ma
qual è la differenza dagli alimenti freschi? Se si
confrontano le conserve industriali con
i corrispondenti prodotti freschi cucinati in
casa non si registrano sensibili differenze: un
leggero vantaggio dunque per il prodotto
conservato. In effetti gli alimenti vengono
sottoposti a trattamento poche ore dopo il
raccolto e quindi il procedimento di
conservazione viene applicato a prodotti di
un’estrema freschezza, che raggiungono il
massimo valore delle loro qualità nutrizionali.
Non è sempre così per le verdure acquistate
in città, raccolte da diversi giorni ed esposte
nei mercati, che, malgrado il loro
aspetto ancora attraente, hanno perso molto
della loro freschezza. Alla verdura 48 ore dopo la
raccolta, non rimane che il 50% del contenuto
iniziale di vitamina C. La preparazione in casa
d’altronde maltratta molto spesso minerali e
vitamine con una cottura “a più acque” o troppo
lunga. Per quel che riguarda un eventuale
rischio tossicologico, è bene ricordare che le
intossicazioni causate da cibi conservati
sono eccezionali, mentre sono più facilmente
originate dai prodotti freschi (carne
tritata, salse, pasticcini, creme,
glasse…).
Per quel che riguarda i metalli (ferro, piombo,
stagno) che gli alimenti potrebbero assorbire
dal recipiente, i medici ritengono che il
consumatore non corre rischi di nessun genere.
È importante ricordare che, se è indispensabile
che vi sia sempre una data in evidenza sui
prodotti dalle qualità nutrizionali e
igieniche variabili nel tempo prodotti freschi e
semiconservati), non si può dire la stessa
cosa per i prodotti sterilizzati, la cui
conservazione è teoricamente illimitata;
solo cattive condizioni di inscatolamento
della partita possono nuocere al prodotto. La
data di fabbricazione esposta sui cibi conservati
sembra essere quindi un falso problema:
una conserva di fabbricazione recente, ma mal
inscatolata, può non essere adatta al consumo,
mentre lo stesso prodotto, molto più vecchio
ma inscatolato secondo le regole, non si altererà.
Alcuni cibi, addirittura, finiscono per
migliorare durante l’invecchiamento: è il caso ben
noto delle sardine e del foie gras. Tuttavia
è sempre maggiore la tendenza dei fabbricanti ad
indicare chiaramente la data di fabbricazione
sulla scatola. Infine qualche consiglio:
• Non utilizzare una scatola rigonfia.
• Non utilizzare una scatola arrugginita in
profondità; al contrario una ruggine
superficiale, dovuta all’umidità atmosferica,
non incide sul prodotto.
• Non utilizzare il contenuto di un recipiente
lesionato (cedimento di una saldatura,
orlatura imperfetta, cattiva tenuta,
perforazione accidentale).Al giorno d’oggi questi
incidenti sono divenuti assai rari.
• Leggere le istruzioni.
• Pulire il coperchio prima dell’apertura.
• Dal momento dell’apertura del recipiente il
prodotto torna ad essere deteriorabile
come quello fresco.
In conclusione
• I cibi conservati possono durare molto a lungo
senza cambiare il loro valore alimentare.
• Le vitamine sono alterate in minor misura dalla
sterilizzazione industriale di alimenti
trattati quando sono freschi che da un
immagazzinamento di qualche giorno in mercati o
depositi e da una cottura spesso
eccessiva.
• L’impiego di cibi conservati è un modo
eccellente di variare
l’alimentazione, indipendentemente dalle
stagioni e ad un prezzo regolare.
Infine, per i pazienti che adottano una dieta
iposodica, è necessario ricordare che i cibi
conservati, normalmente, contengono tutti del
sale. Anche i legumi, il cui liquido di copertura
è sempre salato. In questo caso conviene
sciacquarli abbondantemente o meglio servirsi di
cibi conservati speciali.
Questi sono prodotti dietetici a ridotto contenuto
sodico, indicato sull’etichetta, che va
conteggiata nella razione quotidiana di sale
concessa.
L'alimentazione dello sportivo dilettante
Negli sportivi, due sono gli elementi di gran
consumo da parte dell’organismo: lo zucchero
e l’acqua. Lo zucchero costituisce il
“carburante” principale dei muscoli al lavoro,
soprattutto i muscoli dei grandi sportivi,
che lavorano a livelli di sforzo eccezionali,
grazie ad un allenamento rigoroso che
permette loro di raggiungere mète impossibili per
un semplice “dilettante”. Ecco quindi il
motivo per cui, quando si pratica uno sport da
“dilettanti”, non si ha affatto bisogno di
aumentare la razione alimentare di zuccheri: in
primo luogo perché i muscoli non
devono rispondere alle stesse esigenze dei
muscoli dei campioni, in secondo luogo perché i
muscoli dei “dilettanti” utilizzano
soprattutto i grassi (immagazzinati sotto forma di
“cuscinetti” e “pancetta”) specialmente
quando l’esercizio raggiunge un livello moderato.
Questo spiega come mai questi sportivi
possano allenarsi a lungo al “piccolo trotto”
senza avvertire fame o fatica
contrariamente, per esempio, ai corridori del
Giro d’Italia, che crollano vittime di attacchi di
fame improvvisa per aver tentato di vincere
una tappa soli e con un lungo distacco…
L’essenziale è perciò avere un’alimentazione
equilibrata che possa apportare i
“carburanti” necessari allo sforzo.
Quanto all’acqua essa occupa un posto essenziale
nella pratica sportiva, assicurando
il raffreddamento dell’organismo al cui
interno la temperatura sale per lo sforzo. In
effetti, il fatto che l’organismo bruci dei
carburanti (grassi, zuccheri) comporta di
conseguenza una liberazione di calore
interno: questo calore in eccesso non può trovare
una via verso l’esterno che sotto forma
di acqua, prelevata dalle riserve del corpo:
il sudore. Infatti il fenomeno della traspirazione
produce un grosso consumo di acqua. Più si
perde acqua, più la capacità fisica allo sforzo
diminuisce. Perciò è indispensabile bere non
solo prima dello sforzo ma anche durante
(sorseggiando piccole quantità) e soprattutto
dopo, per ricostruire le riserve di acqua
dell’organismo. Una corsa di un’ora
comporta per una persona del peso di kg 70
una perdita d’acqua di 1 litro e mezzo!
Le ricette del cuore
Soufflé di sedano al prosciutto
Per una persona.
Ingredienti
• 1 sedano
• g. 10 di farina
• g. 15 di latte scremato
• g. 30 di prosciutto cotto magro
• 1 uovo
• g. 15 di parmigiano grattugiato
• sale, pepe, noce moscata
Far bollire il sedano in molta acqua, sgocciolarlo
accuratamente. Farne una purea. In una
terrina unire la farina, il tuorlo d’uovo, il
latte scremato e pochissima acqua. Tritare il
prosciutto molto finemente e aggiungerlo al
composto insieme al parmigiano. Aggiungere sale,
pepe e noce moscata. Mescolare a questa
preparazione il sedano e, un attimo prima di
mettere in forno (in una teglia leggermente
imburrata) aggiungere delicatamente il bianco
d’uovo battuto a neve.
Cuocere a temperatura medio-alta. Sfornare quando
è gonfio e servire molto caldo.
Zuppa di cipolle
Per 4 persone.
Ingredienti
• g. 800 di cipolle
• g. 200 di pomodori maturi
• olio sale
• pane tostato, parmigiano grattugiato
Affettare le cipolle e cuocerle in acqua bollente
fino a raggiungere metà cottura. Scolarle
perfettamente e continuare la cottura in poca
acqua (quanto basta) con olio, pomodoro
e sale. A cottura ultimata versare la
zuppa così ottenuta sul pane tostato già fatto a
pezzetti e ricoprire con parmigiano
grattugiato
Pomodori farciti al formaggio bianco
Per 2 persone
Ingredienti
• 2-3 grossi pomodori,
• g. 75 di formaggio bianco I 1 uovo intero + 1
tuorlo
• g. 20 di gruviera grattugiata
• aglio, prezzemolo, sale, pepe
Svuotare i pomodori e asciugarli al forno.
Riunire in una terrina formaggio bianco, uova, una
fetta biscottata, sale, pepe, aglio e
prezzemolo tritati. Farcire i pomodori,
insaporire il tutto con la gruviera grattugiata.
Far cuocere in forno (temperatura media)
circa 20 minuti. Si può fare anche usando al posto
dei pomodori, zucchine, melanzane, grosse
cappelle di champignons, fondi di carciofi.
Pollo gratinato
Per sei persone.
Ingredienti
• 1 pollo di kg. 1,200 circa
• g. 30 di olio
• g. 50 di cipolla
• g. 50 di carote
• g. 100 di formaggio bianco senza grassi (p. es.
Jocca)
Far cuocere tutte le interiora del pollo, la
cipolla e la carota in un decilitro d’acqua. A
parte, far arrostire il pollo senza aggiunta
di grassi o allo spiedo. Tagliarlo in 6 porzioni.
Gettare il grasso prodotto dalla cottura,
recuperare la parte non grassa e unirla ad una
piccola parte del brodo precedentemente
ottenuto.
Passare al setaccio il rimanente brodo,
schiacciando le interiora per estrarne tutto il
succo, farlo ridurre fino alla consistenza di
uno sciroppo e aggiungervi l’altro brodo e il
formaggio bianco. Versare questa salsa sui
pezzi di pollo disposti su di un piatto da forno,
grattugiarvi sopra della gruviera o
parmigiano e far gratinare al forno.
Sardine fresche al cartoccio
Per una persona
Ingredienti
• 4 sardine fresche
• 2 fette di limone privato della scorza
• 1 cucchiaiata di olio d’oliva
• sale, pepe, prezzemolo, aglio
Su un foglio di carta d’alluminio disporre le 2
fette di limone, le sardine, il prezzemolo,
l’olio. Salare, pepare e chiudere il foglio a
pacchetto.
Cuocere a forno caldo per circa 10 minuti.
Questo piatto, molto frugale, è adatto soprattutto
a chi abbia problemi di digestione.
Fegato di vitello all’arancia
Per una persona
Ingredienti
• 150 g. di fegato
• 1 punta d’aglio e di prezzemolo
• ½ arancia
Arrostire il fegato in una padella antiaderente.
Aggiungere durante la cottura qualche goccia di
olio, aglio, prezzemolo, sale, pepe.
A fine cottura, unire il succo di una mezza
arancia. Ritirare dal fuoco e servire
immediatamente.
Salsa besciamella dietetica
Ingredienti
• g. 25 – 30 di farina
• ½ litro di acqua
• g. 50 – 60 di latte scremato
• margarina di girasole
Sciogliere a freddo la farina in 350 cc di acqua e
farla addensare a fuoco lento. A fine cottura,
a fornello spento, aggiungere il latte
scremato unito al resto dell’acqua. Salare
(se la dieta lo permette), pepare e aggiungere la
margarina. Può essere servita con verdure,
pesce o avanzi di carne (in questo caso, meglio
terminare la cottura a fuoco lento). Con
l’aggiunta di curry questa salsa bianca può
accompagnare le carni bianche.
Unita a salsa di pomodoro può essere servita con
uova sode.
Maionese senza olio
Ingredienti
• 1 tuorlo d’uovo sodo
• 1 cucchiaio di senape forte (con o senza
sale)
• g. 30 di formaggio bianco allo 0% di grasso
• il succo di 1 limone o 2 cucchiai di aceto
Sciogliere il tuorlo d’uovo ancora tiepido con la
senape e il limone o l’aceto. Battere il
formaggio bianco e unirlo lentamente al
composto. Pepare.
Torta allo yogurt
Per tre persone
Ingredienti
• due yogurt
• g. 70 di farina
• 2 uova
• 1 limone
Mescolare energicamente farina, yogurt e tuorli
d’uovo.
Unire i bianchi battuti a neve.
Aggiungere il succo del limone o la scorza.
Mettere in una teglia imburrata. Far cuocere 20
minuti a temperatura media.
Composta di frutta gratinata
Ingredienti
• g. 150 pere o mele
• 1 albume d’uovo
• edulcorante
Far cuocere la frutta tagliata a fette sottili in
acqua non zuccherata profumata con scorza di
limone o
con vaniglia.
Passare la frutta con il passaverdura o frullarla,
far ridurre il succo e aggiungere l’edulcolorante
a
piacere.
Quando si sarà raffreddata, unirvi lentamente il
bianco d’uovo a neve.
Far gratinare 10 minuti in forno a temperatura
medio-bassa
Mousse al caffè
Per una persona
Ingredienti
• 1 bianco d’uovo
• 1 cucchiaino di caffè solubile
• 2 zollette edulcoranti
Far sciogliere il caffè e le zollette in un
cucchiaio d’acqua. Montare a neve il bianco e
unirvi
lentamente il caffè edulcorato. Mettere in una
coppetta e lasciare qualche ora in frigo. Servire
ben
freddo.
Gelato all’ananas
Ingredienti
• 150 g. di ananas fresco
• 15 g. di latte scremato
• uovo intero
• 3 pasticche di edulcorante
Frullate l’ananas tagliato a pezzetti. Montare il
latte scremato con l’uovo
e far rapprendere a bagno-maria. Mischiare la
purea di ananas con la crema e aggiungere
l’edulcorante. Se possibile mettere il tutto in
una gelatiera: in mancanza di questa utilizzare
il
freezer rimestando ogni quarto d’ora all’inizio
dell’operazione.