La scuola di Crotone, più antica di quella di Cirene, è passata alla storia grazie a Democene, il suo medico più celebre, dalla vita avventurosa, e per la guerra fra medici crotonesi e medici pitagorici. Democene era figlio del fondatore dell’asclepieo; sia lui che il padre avevano un pessimo carattere e litigavano in continuazione finché il padre lo cacciò. Democene divenne così il primo libero professionista della storia. Quando la diatriba fra i medici di Crotone e i medici pitagorici sul modo di insorgere delle malattie divenne esasperata, i primi la risolsero in modo radicale ammazzando tutti i pitagorici. I pochi scampati all’eccidio si rifugiarono in Sicilia o in Grecia dove esercitarono come periodeuti, medici che andavano a prestare la loro opera di casa in casa e di paese in paese. Democene, che si era schierato dalla parte dei pitagorici, si salvò sebbene fossero stati promessi tre talenti a chi avesse riportato la sua testa, e fuggì ad Egina, un’isoletta in vista del Pireo. Le divergenze scientifiche fra medici crotonesi e pitagorici furono solamente un pretesto; i medici di Crotone volevano conquistare l’esclusiva dell’assistenza ed essere i soli ad avere influenza sui pubblici affari. Giunto ad Egina, Democene non aveva i soldi per un ambulatorio e visitava gli ammalati agli angoli delle strade. Ben presto però divenne noto e richiesto tanto che gli amministratori della città gli offrirono lo stipendio di un talento l’anno e lo nominarono medico pubblico. Dopo un anno venne ingaggiato da Policrate, il tiranno di Samo, con uno stipendio doppio. Anche questo incarico durò poco perché Policrate finì crocifisso e Democene schiavo dei persiani di Dario I. Poco dopo, Dario si ferì ad un piede in un incidente di caccia, una frattura piuttosto seria perché, secondo le cronache, “l’astragalo gli era uscito dall’articolazione”. Con le cure dei suoi medici egizi, dopo una settimana, anziché guarire era peggiorato e soffriva moltissimo. Qualcuno fece sapere al re che fra gli schiavi c’era un famoso medico di Crotone. Democene dapprima negò perché temeva che una volta a corte gli sarebbe riuscita difficile la fuga che stava preparando, ma sotto la frusta confessò la sua identità. In una settimana guarì la frattura di Dario e, da schiavo stracciato e affamato, divenne proprietario di un lussuoso palazzo e commensale del re, il quale come segno massimo di gratitudine, gli mise a disposizione anche le cento mogli del suo harem. Democene accettò solo il palazzo e chiese la grazia per i medici egizi che, secondo la consuetudine, sarebbero stati impalati. Con questo intese mandare un messaggio rivoluzionario al re: non era giusto uccidere i medici quando non riuscivano a guarire gli ammalati, com’era consuetudine in quasi tutti i paesi del Medio Oriente. Dario gli mandò anche lui un messaggio, il dono di due ceppi d’oro un modo per ricordargli che i prigionieri, anche se liberi e ricchi, non potevano fuggire. Democene non fuggì, ma venne liberato qualche tempo dopo. Il re di Taranto fece portar via il timone della nave dalla quale Demostene guidava una missione scientifica nello Ionio e gli restituì la libertà permettendogli di ritornare a Crotone. Una spedizione persiana andò a riprenderlo, dopo lunghe trattative e feroci combattimenti, Democene, per giungere ad una soluzione, fece sapere a Dario di essersi fidanzato con una sua concittadina, figlia di Milone, il più celebre lottatore del tempo e Dario, come dono di nozze, lo lasciò libero. Finirono così le avventure di Democene che si dedicò per il resto della sua vita alla scuola medica di Crotone, fondata da suo padre, portandola ai più alti fasti.
La guerra fra i medici di Crotone e i pitagorici