La coronarografia precoce nello scompenso cardiaco acuto
di Alessandro Battagliese
28 Settembre 2021

La mortalità per scompenso cardiaco rimane elevata nonostante i progressi nelle cure. In particolare l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco acuto “de novo” o riacutizzato è un evento caratterizzato da una mortalità ad 1 anno variabile tra il 25 ed il 40%.

In circa il 65% dei casi è identificabile una sottostante malattia coronarica che peggiora significativamente la prognosi di questi pazienti in maniera proporzionale alla sua estensione e severità.

Le linee guida americane raccomandano lo studio coronarografico nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto soprattutto in presenza di angina e, con livello di raccomandazione minore, anche in assenza di sintomi anginosi con livello di evidenza C, senza il supporto di solide evidenze scientifiche.

Le linee guida europee raccomandano lo studio coronarografico nello scompenso cardiaco acuto e classe di raccomandazione I in presenza di angina refrattaria a terapia medica, o in presenza di aritmie ventricolari sintomatiche o dopo arresto cardiaco tachiaritmico, abortito, e in classe IIa nei pazienti con probabilità pretest di malattia coronarica intermedia o elevata o in presenza di dimostrazione di ischemia dopo test funzionali sempre con livello di evidenza C.

In mancanza di un approccio standardizzato il ricorso alla coronarografia nel paziente ricoverato per scompenso cardiaco è molto spesso arbitrario e condizionato dalla realtà clinica locale.

Kosyakovosky et al hanno recentemente pubblicato sullo European Heart Journal una interessante analisi restrospettiva su circa 7000 pazienti ricoverati in 70 diversi reparti di emergenza in Ontario per scompenso cardiaco acuto dal 2010 al 2013 utilizzando i database Canadesi relativi alle dimissioni e alle procedure effettuate durante ricovero con i rispettivi codici di patologia (ICD-10-CA).

Hanno intenzionalmente selezionato circa 2994 pazienti con scompenso cardiaco ischemico acuto definito dalla presenza di almeno uno tra: infarto miocardico acuto pregresso, elevazione della troponina (in qualsiasi misura) oltre il 99% percentile, presenza di angina al ricovero.

Sono stati esclusi i pazienti con diagnosi di sindrome coronarica acuta o sottoposti a recente rivascolarizzazione coronarica, infarto o esame coronarografico nei 3 mesi precedenti il ricovero indice. Sono stati esclusi anche pazienti con controindicazione all’esame coronarografico tra cui la presenza di severa insufficienza renale o  allergia al mezzo di contrasto iodato.

Dei 2994 pazienti, 1567 (52%) sono stati sottoposti a studio coronarografico precoce (entro 14 gg dal ricovero) e 1427 (47,7%) no.

I due gruppi sono stati confrontati utilizzando la ponderazione della probabilità inversa, tecnica per il calcolo di statistiche standardizzate su una pseudo-popolazione diversa da quella in cui sono stati raccolti i dati. È stato effettuato un confronto mediante “propensity score” ed una landmark analisys analizzando tutti gli eventi a partire dal 14° giorno, escludendo pertanto i pazienti più gravi con eventi precoci. Il Follow up è stato di due anni.

Obiettivo primario dello studio era la mortalità per tutte le cause e la mortalità cardiovascolare. Obiettivi secondari: ricoveri per scompenso cardiaco e ricoveri per infarto miocardico.

Tutti i dati sono stati aggiustati per variabili demografiche, cliniche (come pressione arteriosa, saturazione, frequenza cardiaca, ecc) e strumentali tra cui frazione di eiezione, durata del QRS, presenza di fibrillazione atriale o flutter, valori di BNP, emogloina, creatinina, ecc) e comorbilità.

La popolazione sottoposta a studio coronarografico precoce era significativamente più giovane, per il 40% di sesso femminile, aveva valori di troponina significativamente più elevati, e valori inferiori di frazione di eiezione del ventricolo sinistro e creatininemia; minore era anche la prevalenza di fibrillazione atriale.

Risultati

Sia la mortalità totale che quella cardiovascolare sono risultate significativamente inferiori a 2 anni, nella popolazione sottoposta a coronarografia precoce con un hazard ratio di 0,74 (p<0,001) per quanto riguarda la mortalità per tutte le cause e 0,72 (p<0.001) per la mortalità cardiovascolare. Significativamente ridotte anche le ospedalizzazioni a due anni per scompenso cardiaco (HR 0,84 p= 0,032).

Non sono risultate significativamente ridotte le ospedalizzazioni totali e quelle per infarto miocardico acuto.

Tra coloro che sono stati sottoposti ad angiografia coronarica precoce, il 58,5% aveva una malattia coronarica ostruttiva e il 17,6% ha avuto una rivascolarizzazione coronarica entro 90 giorni dall’angiografia. In coloro che non sono stati sottoposti ad angiografia precoce, solo il 3,1% ha avuto una rivascolarizzazione coronarica entro 90 giorni. Il gruppo sottoposto a coronarografia precoce ha avuto tassi più elevati di angioplastica a 90 giorni e 2 anni  (HR 4,14, 95% CI 2,53-6,79, P <0,001 a 90 gg e HR 2.58, 95% CI 1.73–3.86,P < 0.001 a 2 anni), by-pass aorto-coronarico (HR 4,99, 95% CI 2,43-10,24, P <0,001 a 90 gg e HR 2.94, 95% CI1.75–4.93, P < 0.001 a 2 anni) e qualsiasi procedura di rivascolarizzazione (HR 4,69, IC 95% 3,11-7,08, P <0,001 a 90 g e HR 2.82; 95% CI 2.06–3.86, P < 0.001).

Considerazioni

La cardiopatia ischemica è una causa comune di scompenso cardiaco (SC) che conferisce un aumentato rischio di morte e reospedalizzazione rispetto ai fenotipi non ischemici. L’ischemia è anche un fattore scatenante l’esordio e l’instabilizzazione dello scompenso cardiaco acuto. Tuttavia, vi è una scarsità di prove a favore della valutazione invasiva precoce coronarica e della rivascolarizzazione nello SC acuto.  Di conseguenza, non ci sono linee guida chiare per quanto riguarda la selezione dei pazienti da inviare ad angiografia coronarica, né ci sono studi che dimostrino chiaramente i benefici derivanti dalla precocità con cui avviarli. In questo studio effettuato su pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto a fenotipo ischemico, l’angiografia coronarica precoce si è associata a una minore mortalità per tutte le cause, morte cardiovascolare e riammissioni per SC a 2 anni. Ci sono stati tassi più alti di rivascolarizzazione coronarica a 90 giorni e 2 anni quando è stata eseguita l’angiografia precoce, suggerendo che un intervento precoce potrebbe contribuire a migliorare la prognosi.

Il miglioramento delle tecniche e dei materiali, l’utilizzo di mezzi di contrasto meno nefrotossici, il rischio emorragico sensibilmente ridotto mediante accesso radiale rendono maggiormente fattibile e relativamente sicura la coronarografia anche in pazienti relativamente instabili.

Esistono dati retrospettivi e prospettici a supporto della rivascolarizzazione dei pazienti con malattia coronarica e disfunzione sistolica ventricolare sinistra cronica, mentre sono scarsi nel contesto dello scompenso cardiaco acuto ospedalizzato.

Lo studio OPTIMIZE-HF ha dimostrato che la coronarografia nel corso del ricovero conferisce un vantaggio in termini di mortalità a breve termine (60-90 giorni) e sulle reospedalizzazioni per SC acuto, ma solo in pazienti con coronaropatia nota. Lo studio STICHES ha dimostrato che la rivascolarizzazione chirurgica riduce la mortalità e i ricoveri in presenza di disfunzione ventricolare sinistra e cardiopatia ischemica cronica, ma la maggior parte dei pazienti arruolati non presentava scompenso acuto.

Nel presente studio, oltre l’80% dei pazienti aveva sintomi di SC a riposo o per minimi sforzi; sono stati inclusi sia pazienti con frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVS) ridotta che preservata.

È stato dimostrato un miglioramento sostenuto della mortalità e delle reospedalizzazioni per scompenso cardiaco fino a 2 anni in un’ampia coorte di pazienti con SC acuto ischemico, di cui solo un terzo ha avuto un precedente infarto miocardico. Il beneficio è stato osservato in modo uniforme in tutti i sottogruppi (quelli con angina, pregresso infarto miocardico e aumento della troponina), indicando che i pazienti con scompenso cardiaco acuto e uno qualsiasi di queste tre condizioni possono trarre beneficio dallo studio coronarografico precoce.

Il beneficio dell’angiografia precoce nei pazienti acuti si ottiene non solo mediante rivascolarizzazione coronarica ma anche dalla certezza diagnostica che ne deriva.

Escludere la presenza di malattia coronarica significativa permette di evitare trattamenti potenzialmente pericolosi come la necessità di agenti antipiastrinici, che possono causare emorragie, o farmaci antianginosi che possono abbassare la pressione sanguigna e limitare la possibilità di titolare farmaci per lo SC.

Il tasso elevato di rivascolarizzazioni nel braccio sottoposto ad angiografia precoce ed il beneficio sulla mortalità rafforza l’ipotesi che la coronarografia precoce abbia un effetto favorevole sulla prognosi, limitando l’impatto della malattia coronarica sulla progressione dello scompenso cardiaco.

In conclusione, in pazienti che si ricoverano per scompenso cardiaco acuto con fenotipo verosimilmente ischemico (presenza di angina, storia di infarto o alterazione della troponina) il ricorso a studio coronarografico precoce (entro 14 giorni e dopo iniziale stabilizzazione e compenso) sembrerebbe avere un impatto prognostico positivo sulla mortalità totale e cardiovascolare e sulle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. In attesa di avere a disposizione ulteriori dati possibilmente prospettici e non solo retrospettivi (principale limite dello studio oggetto di commento) appare condivisibile lo studio dell’anatomia coronarica nei pazienti che si ricoverano per scompenso cardiaco acuto ed in particolare quelli con elevata probabilità di malattia coronarica anche se già sottoposti a studio coronarografico negli anni precedenti, soprattutto in presenza di sintomatologia suggestiva, pregresso infarto  o rialzo della troponina, anche se rimane ancora da definirne l’entità. Nel presente studio il vantaggio prognostico della coronarografia si otteneva sia per rialzi modesti di troponina (condizione molto frequente e suggestiva di danno secondario) che per rialzi più propriamente tipici per infarto miocardico.

Bibliografia suggerita

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