Cosa fare se si sospetta un infarto?
Di fronte ad un segno d’allarme è indispensabile sincerarsi subito delle proprie condizioni cardiache. Meglio correre per un falso allarme che perdere tempo in caso di attacco.
- Non attendere ma agire subito: il 25% delle morti per infarto sopravviene nelle prime 2 ore dopo l’inizio dei sintomi.
- Chiamare immediatamente il 118 (dopo 15 minuti dall’inizio dei sintomi).
Perché non si deve aspettare?
Nonostante le raccomandazioni effettuate dalle società scientifiche, il tempo medio di ricovero supera abitualmente le 4 ore dall’inizio dell’attacco. È ben dimostrato che se questo intervallo venisse accorciato, il numero delle morti per infarto si ridurrebbe in modo significativo per la possibilità di contrastare efficacemente le gravi complicanze che si possono verificare nella fase iniziale della malattia. Ogni ritardo dell’ospedalizzazione pregiudica inoltre le possibilità terapeutiche durante le primissime ore che sono quelle in cui l’ammalato corre i maggiori rischi. Molti fondamentali progressi nell’assistenza e nelle terapie urgenti vengono pertanto vanificati dal ritardo.
Perché si aspetta?
In più della metà dei casi il responsabile del ritardo è lo stesso ammalato o i suoi familiari: si spera sempre che il dolore passi spontaneamente, si chiama il medico, si procede con l’elettrocardiogramma. Solo se il tracciato dell’elettrocardiogramma è brutto, se il dolore persiste o se compaiono complicazioni, si decide di andare in ospedale.
Frequentemente (soprattutto se il dolore compare nel sonno) accade che l’ammalato attenda il mattino per chiamare il medico o per recarsi all’ospedale, perdendo del tempo prezioso.
Cos’altro fare in attesa del 118 e come farsi aiutare?
- Rimanere immobili, seduti o sdraiati, come si preferisce.
- Slacciare gli indumenti che ostacolano la respirazione.
- Assicurare aria fresca nella stanza.
- Controllare ripetutamente la frequenza e la regolarità del polso.
- Chi è in aiuto è bene che resti vicino al paziente, cercando di mantenerlo tranquillo.
- Se necessario e si è in grado di farlo, attuare le manovre di rianimazione con il massaggio cardiaco.
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Ci possono essere altri sintomi che allarmano?
Un dolore più intenso di quelli già avvertiti dal paziente, o che non recede in seguito all’impiego di trinitrina sublinguale, oppure un dolore di nuova insorgenza accompagnato da aritmia, tachicardia, sudorazione, senso di mancamento rappresentano segnali di allarme.
Anche il dolore che compare a riposo o che si ripete a distanza di ore deve essere motivo di preoccupazione.
E se il dolore prolungato non dipendesse dal cuore?
Accade non raramente che un attacco coronarico venga scambiato per un dolore gastrico o una colica addominale. La diagnosi differenziale dell’infarto miocardico (qualora il dolore sia protratto) si pone con le seguenti malattie:
- Il reflusso gastro-esofageo. Il sintomo è caratterizzato da un dolore localizzato alla bocca dello stomaco o al petto e si può irradiare al collo. Tipicamente il sintomo è di lunga durata (anche ore) e si ripete spesso. Questo elemento temporale è di fondamentale importanza per una diagnosi differenziale. La tosse secca o “raspetto” alla gola orientano verso la diagnosi di reflusso.
- Il dolore radicolo-nevritico o reumatico. In questi casi il dolore è tipicamente puntorio e dura pochi secondi, ripetendosi anche più volte. È inquadrabile come un dolore reumatico delle terminazioni nervose della gabbia toracica.
- Il dolore da pericardite. È avvertito al petto, dura ore o giornate e si intensifica con gli atti del respiro o i movimenti delle braccia.
- Dissezione aortica. L’aorta, vaso principale del corpo, si rompe parzialmente nella sua porzione toracica. È un’emergenza che può diventare letale, anche senza essere un infarto.
È importante capire che in pronto soccorso lo scopo primario è eliminare le diagnosi più pericolose il prima possibile. Le varie possibilità (diagnosi differenziali) devono sempre essere esaminate e fatte da un medico in ambiente ospedaliero.
