Ritorno al passato: Manifestazioni moderne di un male antico
di Maria Francesca Scuppa - Francesco Angeli
22 Marzo 2022

Caso clinico

Un uomo di 59 anni, affetto da ipertensione arteriosa sistemica, privo di antecedenti cardiologici di rilievo, veniva sottoposto a trapianto ortotopico di fegato per cirrosi dismetabolica complicata da epatocarcinoma. Durante gli accertamenti per lo screening trapiantologico veniva riscontrato un quadro di tubercolosi latente, con positività al Quantiferon in assenza di sintomi e di quadro radiologico polmonare suggestivo. Per tale ragione era stato sottoposto ad un ciclo di terapia con isoniazide, che veniva interrotta precocemente per insorgenza di encefalopatia epatica.

A un mese dal trapianto il paziente era stato ricoverato per deterioramento acuto della funzionalità epatica, con riscontro all’esame istologico di rigetto di grado lieve, per cui veniva sottoposto ad un ciclo di terapia steroidea con miglioramento del quadro epatologico.

Alla successiva visita epatologica di controllo, il paziente riferiva febbricola refrattaria ad antibioticoterapia con contestuale dispnea ingravescente, sino all’ortopnea. Al momento della visita, il paziente si mostrava tachi-ortopnoico, con edemi declivi agli arti inferiori e turgore giugulare. L’elettrocardiogramma mostrava una tachicardia sinusale con frequenza cardiaca pari a 120 bpm ed alterazioni diffuse della ripolarizzazione ventricolare, in assenza di elementi patologici di rilievo (Figura 1).

Fig.1: ECG eseguito nel corso della visita: tachicardia sinusale a 120 bpm con alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione ventricolare.

In considerazione del quadro suggestivo di scompenso cardiaco, veniva eseguito un esame ecocardiografico urgente con documentazione di versamento pericardico di grado severo con segni di iniziale compromissione emodinamica (Figura 2).

Trasferito in Emodinamica, veniva sottoposto a pericardiocentesi con evacuazione di circa 500 mL di liquido siero-ematico. Gli esami chimico-fisici mostravano un liquido essudatizio con numerose emazie, suggestivo di interessamento tubercolare pericardico. Tale sospetto veniva confermato successivamente alle indagini microbiologiche con positività della PCR BK e degli esami colturali per M. tuberculosis.

Fig.2: Ecocardiogramma transtoracico: severo versamento pericardico ubiquitario con iniziali segni di compromissione emodinamica.

Veniva pertanto impostata quadruplice chemioterapia antitubercolare con isoniazide, etambutolo, rifampicina e moxifloxacina e terapia steroidea a elevate dosi (prednisone 60 mg/die in progressivo decalage). Ai successivi controlli ambulatoriali non venivano segnalate recidive febbrili e ai controlli ecocardiografici non si evidenziavano segni di costrizione pericardica.

Dopo tre mesi, data la progressiva elevazione dei marker di funzionalità epatica, a fronte della stabilità del quadro clinico e strumentale, si decideva di interrompere la terapia antitubercolare.

Dopo due mesi di wash-out dalla antibioticoterapia, il paziente riferiva una recrudescenza febbrile in assenza di segni di localizzazione. Veniva pertanto ripetuto un ecocardiogramma, che mostrava la presenza di una formazione cavitata internamente ecopriva, in sede retroatriale destra. La TC cuore segnalava la presenza di ipercaptazione del mezzo di contrasto a carico delle pareti e di fenomeni colliquativi a livello del core. Come approfondimento diagnostico veniva inoltre eseguita una RM cardiaca che confermava il quadro TC. Infine, alla PET con fluorodesossiglucosio, si evidenziava un’omogenea iperfissazione del radiofarmaco a livello della raccolta (Figura 3). In ragione della stabilità emodinamica, dell’assenza di segni di scompenso cardiaco in atto e della mancanza di effetto massa da parte della lesione a carico dell’atrio destro si decideva di soprassedere momentaneamente all’adozione di strategie terapeutiche invasive, adottando una strategia conservativa.

Fig.3: Lesione in sede retroatriale destra (tubercoloma pericardico) alle diverse metodiche di imaging.
 

Veniva pertanto ripresa la chemioterapia antitubercolare con rifambutina, isonizide e levofloxacina; per l’intercorrente riattivazione di Citomegalovirus e virus di Ebstein-Barr in un quadro di severa immunodepressione si decideva di non reintrodurre la terapia steroidea.

A sei mesi, il paziente risultava asintomatico dal punto di vista cardiovascolare, stabilmente apiretico e con evidenza all’imaging di progressiva riduzione dimensionale della lesione e del gradiente metabolico alla PET di controllo.

Commento e breve revisione della letteratura:

Nei Paesi sviluppati l’eziologia tubercolare è raramente alla base di quadri pericarditici, la cui incidenza è andata riducendosi parallelamente a quella della tubercolosi. Nei paesi in via di sviluppo risulta invece la causa più frequente di pericardite, soprattutto nella coorte di pazienti siero positivi per il virus dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV).

La pericardite tubercolare può manifestarsi in modo variabile. Più frequentemente esordisce come pericardite acuta, con associato versamento pericardico ad andamento subacuto; più raramente, come tamponamento cardiaco.

Indipendentemente dalla modalità di esordio, l’evoluzione verso la pericardite costrittiva costituisce una complicanza temibile, soprattutto nei pazienti immunocompetenti, in virtù dell’importante risposta infiammatoria nei confronti dell’infezione. 1,7

Gli obiettivi del trattamento rimangono il controllo dell’infezione, la gestione dell’eventuale compromissione emodinamica (scompenso o tamponamento cardiaco) e la prevenzione dell’evoluzione costrittiva.

A tal proposito sono disponibili diverse strategie terapeutiche: il trattamento farmacologico mediante la terapia antimicobatterica specifica e la terapia corticosteroidea, il trattamento interventistico tramite pericardiocentesi, in acuto e la pericardiectomia in caso di sviluppo di sequele a lungo termine. Sono inoltre in corso di studio diverse strategie terapeutiche sperimentali quali la fibrinolisi intrapericardica o l’iniezione intrapericardica di glucocorticoidi.

La terapia antimicobatterica si è dimostrata in grado di ridurre in modo significativo la mortalità sia nei pazienti immunodepressi che immunocompententi e di ridurre la progressione verso la forma costrittiva.2,7

Come indicato dalle Linee Guida di riferimento3, l’inizio della terapia medica è preminentemente dettato dalla probabilità pre-test che l’agente eziologico alla base del quadro sia effettivamente il M. tuberculosis, pertanto:

  • Nei paesi nei quali la tubercolosi è endemica, o nei pazienti provenienti da tali aree, qualora si abbia una presentazione suggestiva, vi è indicazione a intraprendere la terapia antitubercolare empiricamente. Inoltre, quando la diagnosi non può essere stabilita in maniera definitiva, vi è indicazione alla continuazione della terapia antimicobatterica qualora si sia assistito ad un miglioramento del quadro clinico.
  • Al di fuori dalle aree endemiche vi è indicazione ad attendere la conferma microbiologica prima di iniziare la terapia antitubercolare.

Per quanto riguarda la durata del trattamento, si è visto in letteratura come un mantenimento della terapia oltre i sei mesi si associ ad una maggiore incidenza degli effetti collaterali, in assenza di un impatto significativo sulla prognosi.

La scelta del regime antimicobatterico dipende dal profilo di resistenza del micobatterio isolato e dalla presenza di eventuali comorbidità, in primo luogo la concomitante infezione da HIV.

L’utilizzo della terapia steroidea è ancora oggetto di dibattito, alla luce dei risultati contrastanti dei trial5,6. Una recente metanalisi4 sembra identificare un possibile beneficio nell’utilizzo degli steroidi nei pazienti HIV-negativi, dove il loro utilizzo sembra associarsi ad una ridotta incidenza di evoluzione costrittiva. Nei soggetti HIV positivi i benefici della terapia steroidea sono meno evidenti. Risulta ancora da stabilire l’atteggiamento da tenere nei pazienti HIV-positivi in terapia antiretrovirale con soppressione della carica virale.

Secondo le Linee Guida ESC 20153, seppur con un basso livello di evidenza, l’utilizzo dei corticosteroidi risulta indicato nei pazienti HIV-negativi e controindicato nei pazienti HIV-positivi.

Per quanto riguarda le strategie invasive, la pericardiocentesi è sempre raccomandata quando si sospetta l’eziologia tubercolare. Questa procedura ha una funzione diagnostica, per l’isolamento del patogeno, una funzione terapeutica, per evitare il tamponamento cardiaco e per scongiurare gli effetti a lungo termine, dal momento che l’evacuazione pericardica è stata associata ad una minore incidenza di evoluzione costrittiva3,5.

La pericardiectomia è il trattamento di scelta in presenza di evoluzione costrittiva, non responsiva alla terapia medica mantenuta per almeno 6-8 settimane3.

L’ascesso tubercolare costituisce una manifestazione ancor più aneddotica di tubercolosi e frequentemente costituisce una forma evolutiva della localizzazione pericardica.

Non esistono indicazioni precise in merito alla strategia terapeutica da adottare dal momento che la letteratura al riguardo si limita ad alcuni case report e case series.

Una case series8 ha indagato le modalità di presentazione radiologica dell’ascesso pericardico. Con i limiti dell’esiguo numero di casi presi in esame (15 pazienti), emergeva come la localizzazione più frequente fosse a livello del solco atrioventricolare destro e la modalità di presentazione più frequentemente osservata fosse il tamponamento localizzato secondario all’effetto massa.

La decisione in merito alla strategia terapeutica, invasiva o conservativa, viene valutata caso per caso sulla base della presentazione clinica, del quadro di compenso cardiovascolare, delle dimensioni della lesione e dell’effetto emodinamico derivato dalla compressione sulle strutture cardiache.

In conclusione, nonostante la pericardite tubercolare sia poco frequente nella nostra realtà, questa eziologia deve essere comunque presa in considerazione, non soltanto nel caso di pazienti provenienti da aree endemiche o HIV positivi, ma anche in altre categorie di soggetti, come i pazienti in terapia immunosoppressiva dopo trapianto.

Una diagnosi precoce e un trattamento mirato sono determinanti nel migliorare la prognosi e nel ridurre la necessità di strategie terapeutiche invasive.

Bibliografia:

1 Isiguzo, Godsent et al. Diagnosis and Management of Tuberculous Pericarditis: What Is New?. Current cardiology reports vol. 22,1 2. 15 Jan. 2020, doi:10.1007/s11886-020-1254-1

2 Mayosi, Ntsekhe, Volmink, Commerford. Interventions for treating tuberculous pericarditis. Cochrane Database Syst Rev 2002;(4):CD000526

3 Adler, Charron, Imazio, et al., ESC Scientific Document Group, 2015 ESC Guidelines for the diagnosis and management of pericardial diseases: The Task Force for the Diagnosis and Management of Pericardial Diseases of the European Society of Cardiology (ESC)
Endorsed by: The European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS), European Heart Journal, 36; 42; 7 November 2015, 2921 – 2964

4 Wiysonge, Ntsekhe, Thabane, Volmink, Majombozi, Gumedze, Pandie, Mayosi. Interventions for treating tuberculous pericarditis. Cochrane Database of Systematic Reviews 2017; 9. DOI: 10.1002/14651858.CD000526.pub2.

5 Mayosi, Ntsekhe, Bosch, et al., Prednisolone and Mycobacterium indicus pranii in tuberculous pericarditis. N Engl J Med; 371(12):1121–3

6 George, Thomas, Sadhu. Systematic review and meta-analysis of adjunctive corticosteroids in the treatment of tuberculous pericarditis. Int J Tuberc Lung Dis. 2018 May 1;22(5):551-556. doi: 10.5588/ijtld.17.0341.

7 Mayosi, Burgess, Doubell. Tuberculous pericarditis. Circulation. 2005. 112(23):3608–3616

8 Gulati, Sharma. Pericardial abscess occurring after tuberculous pericarditis: image morphology on computed tomography and magnetic resonance imaging. Clin Radiol. 2004 Jun;59(6):514-9. doi: 10.1016/j.crad.2003.12.005.