Impatto clinico della placca vulnerabile nel lungo periodo.
di Francesco Prati
02 Febbraio 2023

La morfologia dell’aterosclerosi coronarica si è dimostrata in grado di predire il rischio di eventi infartuali e morte cardiaca nei soggetti con cardiopatia ischemica. (1)

Più studi prospettici pubblicati sull’argomento negli ultimi anni e basati sulla OCT o sul NIRS-IVUS hanno dimostrato che le lesioni cosiddette vulnerabili si accompagnano ad un rischio aumentato di eventi cardiovascolari.

La vulnerabilità di placca ha rappresentato una controversia clinica ed è tutt’ora oggetto di dibattito; molti clinici e studiosi ritengono tutt’ora che la ricerca le caratteristiche anatomiche dell’aterosclerosi non sia fondamentale nel predire il rischio di eventi cardiaci, includendo anche quelli hard ( infarto o morte cardiaca).  

Un’obiezione da molti mossa, e che ritengo corretta, si incentra  sull’osservazione secondo la quale l’aterosclerosi va incontro a rapide modifiche di tipo migliorativo in seguito ad impiego di farmaci (ad esempio ipolipemizzanti) oppure peggiorativo, se si seguono abitudini di vita scorrette. In quest’ottica, fotografare la composizione dell’aterosclerosi in un determinato momento, può essere di scarsa utilità, se la placca cambia in modo radicale e magari rapidamente.

Studi sull’argomento effettuati con tecniche di imaging IC seriate (2,3) sembrano sostenere questa ipotesi. Sia lo studio Huygen (2) che il PACMAN (3) hanno recentemente dimostrato che la marcata riduzione della colesterolemia LDL ottenuta rispettivamente con Evolocumab ed Alirocumab,  si traduce in un ispessimento significativo della capsula fibrosa ed in una riduzione dei macrofagi in soli 9 mesi.

Lo studio di Fabris et al , appena pubblicato su Eurointervention (4),  ha però evidenziato un aspetto forse inatteso, mostrando una chiara relazione tra la composizione della placca aterosclerotica ed il rischio di eventi in un periodo di osservazione decisamente lungo, di circa 5 anni, estendendo una prima osservazione con un anno di FU (5).

Fabris et al hanno valutato nello studio combine OCT-FFR la prognosi di soggetti con  lesioni coronariche negative alla FFR ma che presentavano un aspetto OCT indicativo di alto rischio, ovvero placche vulnerabili con capsula fibrosa sottile (TCFA).

Lo studio COMBINE è uno studio prospettico multicentrico in soggetti con diabete mellito ed almeno una lesione FFR negativa. I pazienti venivano suddivisi in due gruppi a seconda che fossero presenti o meno lesioni con TCFA. Complessivamente si sono arruolati 390 pazienti con almeno una lesione FFR negativa. 292 pz, ( il 74,9% ) non presentavano TCFA mentre i rimanenti 98 (25,1%)  avevano almeno un TCFA, presentando pertanto una capsula fibrosa sottile. L’end point principale, un composito di morte cardiaca, target vessel infarto miocardico, rivascolarizzazione della lesione target, oppure angina instabile con ricovero ospedaliero, si è verificato più spesso nei soggetti con TCFA ( 21,4% vs 8,2%, HR 2,89, p < 0.001). All’analisi multivariata la presenza di TCFA  era inoltre un predittore indipendente del primary end-point con HR di 2,76 p < 0.001

Commento

L’elemento di novità nello studio risiede nella osservazione per la prima volta che aspetti di vulnerabilità e di placca identificati mediante OCT identificano soggetti a un rischio molto aumentato di eventi coronarici ad una distanza di tempo ragguardevole ( 5 anni dall’arruolamento), nonostante l’utilizzo della terapia medica.

In altri termini anche se la terapia medica ottimale è in grado di stabilizzare l’aterosclerosi, lesioni coronariche con aspetto sfavorevole (placche vulnerabili) rimangono a rischio di eventi negli anni successivi. Si può concludere che la morfologia di partenza ha un certo peso.

Si può notare dalle curve di sopravvivenza che l’endpoint primario diverge ulteriormente con il tempo. Se la forbice relativa all’endpoint primario si attestava in valore assoluto al 5% ad un anno, è aumentata fino a raggiungere il 13% a 5 anni.

Focalizzando l’attenzione unicamente sugli eventi hard a 5 anno , l’angina instabile scendeva dal 10.2% nel gruppo con TCFA  al 2.4% nel gruppo controllo (HR 4,5 , p= 0.02), mentre l’infarto miocardico spontaneo scendeva significativamente dal 10.2% nel gruppo TCFA al 3.4% al gruppo controllo ( HR 3.1, p= 0.011) ed infine morte o infarto miocardico scendevano dal 16.3% nei soggetti con TCFA, al 8.9% del gruppo controllo (HR  1,9, e p= 0,033).

Se poi analizziamo il composito di  morte cardiaca o infarto miocardico da lesione target, che rappresenta l’end-point dello studio CLIMA (6),  si nota come l’incidenza di eventi fosse pari al 8.1% nei soggetti con TFCA e scendesse al 3.8% nel gruppo di controllo. Il confronto non raggiunge di poco la significatività statistica con un HR di 2.4 ed una p di 0.006.

Lo studio è importante e, in linea con le osservazioni più recenti, dimostra il legame tra la presenza di lesioni vulnerabili ( con TCFA) e prognosi. Restiamo in attesa degli studi randomizzati di confronto tra soluzioni interventistiche guidate dall’imaging IC  nello studio della vulnerabilità di placca. Tra essi l’INTERCLIMA che confronta nelle SCA un approccio morfologico  (OCT) vs  funzionale per lo studio delle lesioni intermedie in vasi non culprit.

Allo stesso modo attendiamo studi farmacologici, nell’ipotesi che soluzioni terapeutiche con farmaci a marcata riduzione della colesterolemia o farmaci ad azione anti-infiammatoria, rendano quiescenti placche aterosclerotiche attive, o meglio in grado di generare eventi infartuali.

Dopo anni di incertezza si è aperto un capitolo da seguire con attenzione: il trattamento delle lesioni con aspetto morfologico di alto rischio. 

Bibliografia:

  1. Prati F, Arbustini E, Alfonso F.Skating on thin ice: searching for vulnerable plaques. EuroIntervention. 2022 Oct 21;18(9):705-707. doi: 10.4244/EIJ-D-22.
  2. Nicholls SJ, Kataoka Y, Nissen SE, Prati F, Windecker S, Puri R, Hucko T, Aradi D, Herrman JR, Hermanides RS, Wang B, Wang H, Butters J, Di Giovanni G, Jones S, Pompili G, Psaltis PJ. Effect of Evolocumab on Coronary Plaque Phenotype and Burden in Statin-Treated Patients Following Myocardial Infarction. JACC Cardiovasc Imaging. 2022;15:1308-21.
  3. Räber L, Ueki Y, Otsuka T, Losdat S, Häner JD, Lonborg J, Fahrni G, Iglesias JF, van Geuns RJ, Ondracek AS, Radu Juul Jensen MD, Zanchin C, Stortecky S, Spirk D, Siontis GCM, Saleh L, Matter CM, Daemen J, Mach F, Heg D, Windecker S, Engstrøm T, Lang IM, Koskinas KC; PACMAN-AMI collaborators. Effect of Alirocumab Added to High-Intensity Statin Therapy on Coronary Atherosclerosis in Patients With Acute Myocardial Infarction: The PACMAN-AMI Randomized Clinical Trial. JAMA. 2022;327:1771-81.
  4. Fabris M,  Berta B,  Hommels T et al. Long-term outcomes of patients with normal fractional flow reserve and thin-cap fibroatheroma. Eurointervention 2023; in press. DOI: 10.4244/EIJ-D-22-00306.
  5. Kedhi E, Berta B, Roleder T, Hermanides RS, Fabris E, IJsselmuiden AJJ, Kauer F, Alfonso F, von Birgelen C, Escaned J, Camaro C, Kennedy MW, Pereira B, Magro M, Nef H, Reith S, Al Nooryani A, Rivero F, Malinowski K, De Luca G, Garcia Garcia H, Granada JF, Wojakowski W. Thin-cap fibroatheroma predicts clinical events in diabetic patients with normal fractional flow reserve: the COMBINE OCT-FFR trial. Eur Heart J. 2021;42:4671-9.
  6. Prati F, Romagnoli E, Gatto L, La Manna A, Burzotta F, Ozaki Y, Marco V, Boi A, Fineschi M, Fabbiocchi F, Taglieri N, Niccoli G, Trani C, Versaci F, Calligaris G, Ruscica G, Di Giorgio A, Vergallo R, Albertucci M, Biondi-Zoccai G, Tamburino C, Crea F, Alfonso F, Arbustini E. Relationship between coronary plaque morphology of the left anterior descending artery and 12 months clinical outcome: the CLIMA study. Eur Heart J. 2020;41:383-91.